Alla fine degli anni cinquanta la concorrenza tra i giovani pianisti statunitensi era feroce: dopo la vittoria al concorso Čajkovskij di Mosca nel 1958, Van Cliburn diventò il cocco della Rca e le sue registrazioni fecero rinviare sine die la pubblicazione di quelle di Byron Janis, suo compagno di etichetta. Così il pianista allievo di Horowitz passò alla Mercury, dove incise un pugno di dischi che fecero epoca. La novità metteva insieme un artista al punto più alto della sua carriera e i microfoni magici dei produttori Bob Fine e Wilma Cozart. Il risultato è impressionante ancora oggi: tanto eleganti quanto precisi, appassionati ma senza eccessi, il secondo e il terzo concerto di Rachmaninov diretti da Antal Doráti non hanno preso una ruga, come il primo di Čajkovskij e quello di Schumann, il cui classicismo racchiude tesori di sensibilità. E poi c’è la storia con la esse maiuscola, con la tournée di Janis in Unione Sovietica del 1962, quando la Mercury diventò la prima etichetta occidentale a registrare a Mosca con i suoi mezzi in piena guerra fredda. Ne uscirono due concerti di Liszt incredibili, un sensazionale primo di Rachmaninov e qualche bell’album solista. C’è anche un leggendario live a Leningrado registrato clandestinamente dai suoi ospiti nel 1960: il suono non è un granché, ma è una serata speciale.
Laurent Muraro, Diapason

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Questo articolo è uscito sul numero 1514 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati