Poco prima di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2024 il governatore della Florida Ron DeSantis ha firmato tre leggi con l’obiettivo di “colpire la Cina comunista”. I provvedimenti vietano alle aziende cinesi di comprare terreni agricoli nello stato, impediscono di installare app controllate da aziende cinesi sui dispositivi di funzionari statali e riducono i legami tra le università della Florida e quelle dei “paesi che suscitano preoccupazione”. Gli attacchi contro Pechino sono una costante nelle campagne elettorali nazionali statunitensi da almeno dieci anni, e di recente anche i politici locali hanno cominciato a usare le stesse armi.
Secondo Maggie Mick di MultiState, una società di consulenza che si occupa di politica a livello statale, in questo momento la Cina è l’unico tema che mette d’accordo democratici e repubblicani. I parlamenti statali stanno approvando molte leggi simili a quelle della Florida. Il Texas ha perfino cercato d’impedire ai cittadini cinesi – e anche iraniani, nordcoreani e russi – di comprare proprietà immobiliari. Il testo originale prevedeva il divieto anche per le persone con doppia cittadinanza o in possesso della green card (un’autorizzazione che permette a uno straniero di risiedere negli Stati Uniti per un tempo illimitato), ma alla fine il parlamento lo ha bocciato. L’Indiana ha approvato una legge che impone al sistema pensionistico statale di non investire in aziende cinesi. Più di metà degli stati ha vietato di installare TikTok, app di proprietà di un’azienda cinese, sui dispositivi di funzionari governativi. A maggio il Montana è diventato il primo stato a vietare TikTok a tutti. Il provvedimento dovrebbe entrare in vigore a gennaio 2024, ma potrebbe rivelarsi impossibile da applicare.
Per gran parte della loro storia i parlamenti statali si sono occupati soprattutto di questioni locali, limitandosi per il resto a seguire la politica nazionale. Ma oggi la situazione è diversa. In 39 stati uno dei due partiti controlla sia la carica di governatore sia il parlamento, quindi approvare nuove leggi è molto più facile che al congresso federale. I politici statali usano queste leggi per esprimere il loro malcontento nei confronti di un governo federale che ritengono inadeguato. Questa dinamica ha conseguenze importanti.
Poca coerenza
Negli anni ottanta, quando il Giappone era considerato una minaccia per il dominio economico statunitense, nel paese si guardava con sospetto alle acquisizioni di beni americani da parte di aziende giapponesi. Oggi succede qualcosa di simile, in un momento in cui le tensioni tra Washington e Pechino sono in aumento. Le aziende e i governi stranieri non possono comprare terreni agricoli in circa 25 stati, quasi tutti controllati dai repubblicani.
Anche quando i testi delle leggi non hanno un riferimento chiaro alla Cina, il bersaglio è comunque evidente. “La Cina comunista, il più grande nemico degli Stati Uniti, sta comprando terreni a un ritmo indiavolato”, ha scritto ad agosto del 2022 Sid Miller, capo del dipartimento dell’agricoltura del Texas. I parlamentari sono comprensibilmente sospettosi del fatto che terreni vicini alle basi militari e alle infrastrutture rilevanti possano finire in mano straniera, ma al momento le preoccupazioni sulle attività della Cina sembrano infondate. Le aziende non statunitensi controllano appena il 3 per cento di tutti i terreni agricoli privati nel paese, e quelle cinesi sono meno dell’1 per cento del totale. Secondo Caitlin Welsh del Centro per gli studi strategici e internazionali, le nuove leggi rispecchiano le ansie degli Stati Uniti più che le ambizioni della Cina.
Un altro fronte è quello dell’istruzione. Almeno dieci stati hanno cercato di limitare gli scambi tra le università locali e quelle cinesi, anche se finora pochi hanno approvato nuove leggi. I politici che promuovono questi provvedimenti sostengono di agire in difesa della sicurezza nazionale. Jerry Cirino, senatore dell’Ohio, ha detto che bisogna intervenire perché le attività globali della Cina sono “molto più gravi dell’invasione russa dell’Ucraina”.
Negli anni settanta gli scambi universitari contribuirono alla distensione nei rapporti tra Stati Uniti e Cina, e oggi un’inversione di marcia potrebbe avere conseguenze negative a livello economico e culturale. La Cina è il paese di provenienza della maggior parte degli studenti stranieri nelle università degli Stati Uniti: circa un terzo del totale nel 2019, prima della pandemia. Secondo la Association of international educators, che promuove gli scambi universitari, nel 2021-2022 gli studenti stranieri hanno portato circa un miliardo di dollari nelle casse dell’Ohio e della Florida, due miliardi in quelle del Texas. Molti atenei pensano che le limitazioni agli scambi siano dannose.
In un momento in cui l’amministrazione Biden fatica a mettere in atto una politica coerente nei confronti della Cina, per gli Stati Uniti è indispensabile mantenere un delicato equilibrio tra dimostrazioni di forza e aperture, per impedire che i rapporti tra le due principali potenze mondiali peggiorino ulteriormente. In quest’ottica le leggi approvate a livello statale fanno sembrare ancora più incoerente il governo di Washington. L’autonomia degli stati è garantita dalla costituzione, ma raramente i parlamentari hanno una profonda comprensione delle dinamiche della politica estera. I governi stranieri, soprattutto se centralizzati come quello cinese, potrebbero considerare l’attività dei parlamenti statali semplicemente come parte di quella nazionale. In questo senso il comportamento ostile degli stati potrebbe influenzare la politica estera di Washington più di quanto vorrebbero alcuni governatori ambiziosi. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati