Bridget è un’accademica che ha una relazione con lo psicoterapeuta John, ma l’attenzione si concentra sulle spiacevoli dinamiche tra Bridget e i genitori, che hanno divorziato prima che lei compisse due anni. Il padre è il tipo d’uomo che si riferisce a George Harrison come “il mio amico George”, perché l’ha incontrato una volta all’aeroporto, ed è anche un bullo. Ma il vero punto focale è la mamma, Hen. Non è una prepotente, ma un’artista la cui incapacità di dire qualcosa di autentico a Bridget durante la sua crescita ha spinto quest’ultima a considerarla una persona da gestire invece che da amare. Come altri personaggi di Gwendoline Riley, Bridget è dotata di una lacerante capacità di criticare gli altri e di un’incapacità di criticare se stessa. Ci sono dei fantasmi: Hen accenna al fatto che il suo matrimonio era più oscuro di quanto sembrasse; Bridget, in modo obliquo e confuso, allude alla possibilità che anche la sua infanzia possa esserlo stata. Ma spiegare o illuminare non è compito dell’autrice.
Claire Allfree, Evening Standard
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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati