Il primo pezzo del nuovo album di Marc Ribot con il suo rodatissimo trio Ceramic Dog, cioè Shahzad Ismaily all’elettronica e Ches Smith alla batteria, è una travolgente dichiarazione d’intenti, con il testo accompagnato da un ritmo costante e un riff di due note. Il brano successivo, Subsidiary, è hard rock, con Ribot che offre un flusso di coscienza non chiarissimo ma animato da un forte sentimento anti-capitalista. Si va avanti attraverso Soldiers in the army of love, un’allegra rielaborazione della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, prima di rallentare con Ecstasy, pezzo artisticamente programmatico in cui la voce ricorda Frank Zappa. Poi c’è il brusco passaggio allo strumentale Swan, dove James Brandon Lewis al sax tenore contribuisce al clima scottante. Lewis compare anche nel pezzo punk Heart attack, e nei brani successivi Oscar Noriega al clarinetto, Greg Lewis allo Hammond e Anthony Coleman alla tastiera Farfisa aggiungono voci nuove. Alla fine arriva Crumbia, uno strumentale latino che suona un po’ ironico ma probabilmente non lo è. Connection percorre una strada lunga e tortuosa, e fa venire in mente che lo stile del chitarrista era stato definito “disco music distopica”. È raccomandato a chi vuole un ascolto in cui non si sa mai cosa sta per succedere.
Jon Turney, London Jazz News
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Questo articolo è uscito sul numero 1525 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati