D2019 al 2022 la Peta, un’organizzazione non profit che si occupa dei diritti degli animali, ha portato avanti una campagna contro lo sfruttamento dei macachi a coda di porco, in Thailandia. Questi primati, una specie già minacciata dalla caccia e dal commercio illegale, sono usati per raccogliere noci di cocco destinate al mercato internazionale, dove sono impiegate nel settore alimentare e della cosmetica. Secondo i dati della Fao, la Thailandia è il terzo paese esportatore di cocco fresco o essiccato e il primo esportatore di latte di cocco al mondo. “Ci sono dei centri di addestramento in cui s’insegna alle scimmie ad arrampicarsi su palme alte fino a 30 metri. Gli agricoltori locali le comprano in queste ‘scuole’”, spiega Raffaele Petralla, che nel 2022 ha seguito le attività di alcuni di loro. Nelle piantagioni sparse nel sud del paese, i macachi raccolgono centinaia di frutti al giorno e hanno per tutto il tempo un collare di metallo legato a una corda. “Ad alcuni esemplari vengono tolti i denti più taglienti per poter usare questi animali anche come attrazione per i turisti, evitando così che possano attaccarli”, continua Petralla. I macachi rischiano di farsi male, perché possono cadere e ferirsi gravemente, e di soffrire per l’isolamento, visto che in libertà vivono in gruppo, mentre nei villaggi non vedono i loro simili e sono separati quando sono cuccioli dalle loro famiglie.
Il governo tailandese ha giudicato esagerata l’indagine della Peta, dichiarando che il lavoro dei primati è ormai residuale nel paese. “Purtroppo le piccole attività locali sono ancora tante sul territorio e poco controllate. Però molte imprese hanno già annunciato di non voler più comprare da fornitori che usano i macachi per la raccolta”, dice Petralla. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1530 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati