Kausar è la più giovane di tre sorelle orfane nel bellissimo romanzo d’esordio, intriso di dolore, della poeta, regista e sceneggiatrice statunitense ma originaria del sud dell’Asia Fatimah Asghar. Alla deriva nel mondo senza una madre o un padre, il cuore di Kausar è un po’ quello di Noreen e un po’ quello di Aisha. Le sue due sorelle sono tutto ciò che ha, anche se la distanza tra loro sta aumentando. Kausar “ha messo il suo cuore nel cuore delle sue sorelle” molto tempo prima che diventassero orfane. Il giorno in cui il padre muore, assassinato per le strade d’America all’inizio del romanzo, la loro casa diventa un luogo della tristezza. La salma del padre è spedita dalla Pennsylvania a Lahore ed è sepolta in un terreno che non possono toccare, in un “luogo da cui proviene, e da cui proveniamo anche noi, ma di cui non sappiamo nulla”. Guarderanno la sepoltura in una videocassetta e lo faranno ripetutamente insieme alle zie. Le sorelle avevano innocentemente desiderato dei nuovi letti a castello e hanno perso il padre mentre era fuori a comprarli. Lo zio, il cui nome è sostituito in tutto il testo da una casella nera, diventa il loro tutore, ma lavora soprattutto per servire i propri interessi: si prende la loro eredità e gli assegni emessi dal governo. Le fa trasferire in una nuova città, in una nuova casa. Negli anni successivi, le sorelle diventate maggiorenni si dividono; ognuna cerca di confrontarsi con il proprio io in trasformazione e di fare i conti con il sistema in quanto donna musulmana americana. Le ragazze non ricordano la loro “madre fantasma”: è un mito, una finzione, morta quando erano ancora bambine. Anche il padre sta gradualmente diventando una finzione. Ovunque vadano, portano con sé la nebbia del dolore familiare. Poeta prima che narratrice, Asghar gioca con lo spazio e il silenzio sulla pagina. Quando eravamo sorelle non è una lettura facile. Il dolore non è un sentimento facile; è solitario, scivoloso, inafferrabile. Ma Kausar può guardare Noreen e Aisha, le sue sorelle-madri, e sapere: quello è il mio cuore. Per qualche istante la nebbia si scioglie, il cuore non è più pesante. Questa consapevolezza è sufficiente. Sana Goyal, The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1532 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati