La cattura di decine di israeliani tra soldati e civili – donne anziane, bambini, intere famiglie – compiuta dai terroristi di Hamas durante l’attacco del 7 ottobre ha suscitato emozioni più viscerali di qualunque altra crisi nella memoria recente del paese, e ha messo il governo di estrema destra del primo ministro Benjamin Netanyahu di fronte a un dilemma impossibile. Il rapimento nel 2006 di un solo soldato, Gilad Shalit, ossessionò la società israeliana per anni, spingendo Israele a bombardare la Striscia di Gaza e infine a rilasciare più di mille prigionieri palestinesi, molti dei quali condannati per attacchi terroristici contro israeliani, in cambio della libertà di Shalit.
Oggi, la cattura di un numero così alto di ostaggi aumenta la pressione su Netanyahu e sui suoi alleati di estrema destra. La promessa di scatenare tutta la forza militare contro Hamas ha sollevato timori per la sicurezza dei civili israeliani trattenuti in località sconosciute nella Striscia densamente popolata. Localizzare gli ostaggi a Gaza – cosa che l’intelligence israeliana non fu in grado di fare nel caso di Shalit – pone ulteriori sfide. Anche se Gaza è molto piccola, soggetta a una costante sorveglianza aerea e circondata da forze terrestri e navali, gli esperti sostengono che questo territorio ad appena un’ora da Tel Aviv resta opaco per le agenzie d’intelligence. “Non sappiamo dove sono gli israeliani”, dice Yaakov Amidror, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Netanyahu. “Quindi l’esercito dovrebbe bombardare tutto”.
Hamas ha già dichiarato di volere il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane – circa 4.500 persone secondo l’organizzazione israeliana di sinistra B’Tselem – in cambio degli ostaggi israeliani. La sorte dei prigionieri è una questione emotiva sia per i palestinesi sia per gli israeliani. Si stima che 750mila palestinesi siano passati dalle carceri israeliane da quando Israele ha conquistato la Cisgiordania nel 1967. Israele li ritiene terroristi, ma i palestinesi li considerano eroi. L’Autorità nazionale palestinese (Anp), che amministra parti della Cisgiordania, destina l’8 per cento del suo bilancio a sostenere queste persone e le loro famiglie.
Estrema sensibilità
“Il rilascio dei prigionieri sarebbe una cosa grossa per Hamas”, dice Khalil Shikaki, direttore del Palestinian center for policy and survey research, con sede a Ramallah. “Consoliderebbe la sua posizione e ridurrebbe ulteriormente la forza e la legittimità” dell’Anp. Ma Tel Aviv si oppone a qualunque gesto possa essere considerato come una resa ai palestinesi. Non c’è “alcuna possibilità” che il governo accetti il rilascio di prigionieri palestinesi, sostiene Gayil Talshir, politologa dell’università ebraica di Gerusalemme. “I radicali e gli estremisti all’esecutivo vogliono radere al suolo Gaza”. Ma per Netanyahu potrebbe essere politicamente rovinoso che i civili israeliani finiscano sotto i bombardamenti o a languire per anni nelle prigioni di Hamas mentre Israele s’impegna in una campagna senza una fine chiara.
Quando si tratta di ostaggi l’opinione pubblica israeliana è punta sul vivo e questo spiega quanto può essere potente l’arma del sequestro in un paese dove la leva è obbligatoria dai diciotto anni e l’esercito si vanta di non abbandonare mai i suoi uomini e donne. In passato la pressione e le campagne della società israeliana per mettere fine alla prigionia di suoi cittadini hanno indotto i governi ad accettare scambi sproporzionati. ◆ fdl
Una versione di questo articolo è stata pubblicata per la prima volta dall’agenzia di stampa Associated Press.
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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati