Le ripercussioni globali
Vanessa Ghanem, Al Arabiya, Emirati Arabi Uniti
Mentre infuria la guerra tra Hamas e Israele, la regione si trova ad affrontare la possibilità che succeda il peggio. Le implicazioni potrebbero essere catastrofiche se altri gruppi o paesi, come Hezbollah e perfino l’Iran, decidessero di entrare nella mischia. Secondo Imad Salamey, consulente per la politica mediorientale e professore di scienze politiche all’università americana del Libano, le turbolenze in Medio Oriente possono avere profonde ripercussioni globali, a causa del ruolo centrale della regione nelle forniture di energia e in una rotta fondamentale per il trasporto marittimo: “La sicurezza del Medio Oriente è imprescindibile per la stabilità di tutto il mondo. La regione ha un’importanza strategica per il commercio globale”.
Salamey sottolinea che un conflitto esteso a tutta l’area avrebbe un effetto a catena sui mercati azionari ed energetici, portando a un aumento dei prezzi del petrolio. “Questa situazione avrà ampie ricadute, non solo sul Medio Oriente, ma anche nei paesi vicini, compresi quelli europei”. Oggi l’economia globale è fragile e sta cercando di riprendersi dall’inflazione, aggravata dall’invasione russa dell’Ucraina. “C’è il rischio di nuovi rincari, con conseguenze che vanno da possibili rivolte nel mondo arabo a ripercussioni sulle prossime elezioni presidenziali statunitensi, perché i prezzi del carburante potrebbero influenzare in modo significativo il voto”, conclude Imad Salamey. ◆
Al Arabiya è un’emittente fondata nel 2003 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.
Per una soluzione politica
Ghassan Charbel, Asharqal Awsat, Regno Unito
Il conflitto in corso è più pericoloso di quelli passati. Alcuni osservatori temono che la guerra a Gaza possa essere il primo capitolo di una battaglia più grande che cambierebbe tutto il Medio Oriente. Gaza è legata alla regione. Un eventuale attacco di terra causerebbe perdite catastrofiche in termini di vite umane, per questo è urgente salvare i civili e rispettare il diritto internazionale umanitario.
Ma non si può tornare alla situazione precedente, deve esserci un percorso verso una soluzione politica. Essenzialmente questo è quello che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha detto al segretario di Stato statunitense Antony Blinken. Non è un segreto che gli Stati Uniti siano la potenza più influente per fermare l’escalation e preparare le parti ad accettare la fine della guerra. Questa missione significa salvare Gaza da un disastro umanitario e la regione da un terribile crollo. ◆
Asharq al Awsat è un quotidiano panarabo legato alla famiglia reale saudita. Ha sede a Londra e un’edizione in arabo e una in inglese.
L’importanza del mare
Laleh Khalili, Al Jumhuriya, Siria
Durante gli anni di assedio, i servizi di sicurezza israeliani hanno rafforzato il controllo sui confini terrestri e marittimi di Gaza e hanno intensificato la sorveglianza della costa e delle spiagge. Oltre a ridimensionare le acque territoriali della Striscia di Gaza, Israele ha strangolato la sua economia, ha azzerato la vita quotidiana e ha trasformato il territorio in una delle più grandi e popolate prigioni a cielo aperto del mondo.
Gli scontri frequenti con le pattuglie navali israeliane impediscono ai pescatori palestinesi di guadagnarsi da vivere. I pattugliatori sono noti per i loro attacchi arbitrari ai pescherecci, che non possono spingersi alla distanza e alla profondità necessarie per trovare il pesce. Così sono stati costretti a interrompere la maggior parte delle loro attività. Anche passare il tempo sulle spiagge di Gaza è diventato pericoloso, perché diversi bambini e passanti sono stati uccisi dai proiettili dei cecchini e dai missili israeliani.
Nonostante questo, il mare rimane una finestra sul mondo per i palestinesi. La Palestina è un paese costiero i cui poeti sognano le onde del Mediterraneo, i cui bambini imparano a tuffarsi, a nuotare e a giocare a calcio sulla sabbia, la cui cucina si distingue per i frutti di mare. Le case che si affacciano sul mare aprono le porte per far entrare aria fresca e acqua salata. È vero che i porti famosi della Palestina, come Haifa, Jaffa e Acri, sono stati conquistati durante la nakba (l’esodo del 1948), ma il popolo palestinese continua a pensarci, perché il mare fa parte della sua identità. Mentre i palestinesi di Gaza vivono all’ombra delle flotte da guerra israeliane e statunitensi – che trasformano il mare “in una delle fonti dell’inferno”, come ha scritto il poeta Mahmoud Darwish – il Mediterraneo attende il loro ritorno. ◆
Al Jumhuriya è un sito di approfondimento sulla Siria e il Medio Oriente fondato nel 2021 da un gruppo di intellettuali e scrittori siriani.
La complicità dell’occidente
Abdelaziz Rahabi, Tsa, Algeria
Israele dovrebbe rendersi conto che non ha il monopolio dell’intelligenza né della forza. Ha il sostegno incondizionato dell’occidente: del Regno Unito, che ha creato Israele e la mappa del Medio Oriente postcoloniale; e della Germania, che ha un pesante debito storico e lo fa pagare diplomaticamente ai palestinesi. Tuttavia, non sempre la storia è scritta dai più potenti e nulla è immutabile. Fra trent’anni le persone nere e quelle di origine sudamericana e asiatica saranno la maggioranza della popolazione degli Stati Uniti, il che porterà senza dubbio a un’evoluzione delle priorità della politica estera di Washington.
Il mondo sta cambiando e non solo al ritmo occidentale, ma sempre più secondo quello stabilito dalle potenze emergenti in Asia, America Latina e Africa. In queste regioni i leader e la pubblica opinione non condividono la giustificazione occidentale dell’occupazione della Palestina. La pace in Medio Oriente comporterà il recupero dei diritti politici dei palestinesi con tutti i mezzi, compresa la resistenza armata, proprio come nella storia dell’Algeria. ◆
Tsa – Tout sur l’Algérie è un sito algerino di attualità, in lingua francese, fondato nel 2007.
Due realtà distanti
Hojat Mirzaei, Shargh, Iran
Sembra che la cappa della violenza, della rabbia e della sofferenza sul Medio Oriente sia inevitabile. Negli ultimi settant’anni paesi come Palestina, Libano, Iraq e Afghanistan hanno vissuto buona parte della loro storia in una violenza continua e spesso crescente. È come se oggi quando si parla di Medio Oriente ci trovassimo davanti a due mondi distanti. Mentre diversi paesi della regione, arabi e musulmani, parlano di una possibile europeizzazione, un gruppo di persone della loro stessa origine e religione vive a Gaza i giorni più bui degli ultimi settant’anni.
In un periodo in cui paesi musulmani del golfo Persico, del Mediterraneo (la Turchia) e del sudest asiatico (Indonesia e Bangladesh) parlano della loro grande crescita economica e dei progressi nel campo dell’industrializzazione, come si può comprendere il dolore e la sofferenza delle persone indifese della Striscia di Gaza? Le vittime principali di questa violenza sono la perdita di speranza nello sviluppo e nella pace, la sospensione e l’allontanamento di un domani migliore e più sicuro, non solo per il popolo palestinese ma anche per molti paesi arabi e musulmani vicini. ◆
Shargh è un quotidiano riformista iraniano fondato nel 2003.
Il futuro degli accordi
Jassim Ahdani e Réda Dalil,Tel Quel, Marocco
La mattina del 15 ottobre il centro di Rabat era bloccato da un corteo di solidarietà con Gaza. Una manifestazione come non se ne vedevano da almeno tre anni, la prima autorizzata dal governo marocchino dopo che ha riallacciato i rapporti con Israele, alla fine del 2020. Migliaia di persone sono arrivate nel centro della capitale. Il loro slogan era: “Il popolo marocchino non approva il ‘diluvio di Al Aqsa’ né la normalizzazione”. Per i paesi arabi che hanno firmato gli accordi di normalizzazione con Israele, ma anche per l’Arabia Saudita che stava per farlo, gli ultimi eventi hanno cambiato la situazione. Mai il progetto voluto da Jared Kushner, il genero dell’ex presidente statunitense Donald Trump, è stato così vicino al fallimento.
Gli accordi hanno aperto al Marocco e a Israele moltissime opportunità militari, economiche, culturali. Ma con il passare del tempo il progetto ha tenuto sempre meno conto della variabile Palestina. Rabat, però, aveva chiarito fin dall’inizio che il suo avvicinamento a Israele non avrebbe interferito con il sostegno costante alla causa palestinese. Oggi il futuro dei cosiddetti accordi di Abramo dipenderà da quanto saranno violente le operazioni israeliane a Gaza. Il Marocco sta agendo nell’ombra per far rivivere la possibilità di un dialogo che porti a una riduzione delle ostilità. ◆
Tel Quel è un settimanale marocchino.
Chi approfitta del caos
Al Ayyam, Palestina
Dal 7 ottobre i coloni israeliani, con il sostegno dell’esercito, hanno ucciso 58 palestinesi in Cisgiordania secondo il ministero della salute palestinese, approfittando del caos a Gaza. Karam Ayman Dweikat, di 17 anni, è stato ucciso durante gli scontri nella città di Beita e altre persone sono state uccise o ferite tra Nablus e Betlemme. Le uccisioni sono accompagnate da una campagna di arresti. I coloni hanno dichiarato guerra ai villaggi palestinesi dei territori occupati e hanno attaccato negozi e abitazioni. Queste azioni e le minacce dei coloni costituiscono un pericoloso precedente in Cisgiordania, dove nel 2023 le forze israeliane hanno ucciso più di 170 palestinesi. Il 17 ottobre i negozi della cittadina di Hawara sono rimasti chiusi. In alcuni villaggi, come Deir Jarir, che si trova vicino a Ramallah ed è sovrastato dalla colonia di Ofra, tutte le notti gruppi di giovani palestinesi fanno le ronde per garantire la sicurezza. Nella Cisgiordania occupata accanto a tre milioni di palestinesi vivono mezzo milione di coloni ebrei, in insediamenti considerati illegali dal diritto internazionale e a volte anche dalla stessa legge israeliana. ◆
Al Ayyam è un quotidiano palestinese con sede a Ramallah.
Un profondo cambiamento
Hugh Lovatt, The New Arab, Regno Unito
Non è chiaro come Israele intenda mettere fine all’attuale ciclo di violenze. Ma il ritorno allo status quo non è possibile. Dopo gli attacchi del 7 ottobre il governo israeliano ha promesso di sradicare Hamas e finora a subirne le conseguenze è stata la Striscia di Gaza. Nonostante abbia uno degli eserciti più sviluppati del mondo, Israele faticherà a imporsi su un avversario molto determinato. Anche se riuscirà a sconfiggere Hamas a Gaza, il gruppo resterà forte e potente in Cisgiordania e in Libano, da dove potrà continuare a compiere attacchi in collaborazione con altri gruppi armati.
Nel frattempo Israele si ritroverà a controllare una Striscia devastata, in condizioni umanitarie talmente gravi che porteranno solo a un’ulteriore radicalizzazione degli abitanti. Israele probabilmente si rivolgerà alla comunità internazionale perché paghi il conto dell’occupazione e della ricostruzione, come ha fatto con la Cisgiordania, oppure potrebbe affidare Gaza ad Abu Mazen. Ma l’Autorità nazionale palestinese è in condizioni pessime, a causa degli sforzi dei vari governi israeliani per indebolirla e dell’incapacità dei suoi stessi leader. Sul lungo periodo il ritorno di Israele a Gaza continuerà a intrappolare israeliani e palestinesi nella realtà di un unico stato di apartheid, in guerra perenne. Dovrebbe essere chiaro ormai che la forza militare non è una soluzione percorribile. Per assicurare un futuro dignitoso e sostenibile alla Striscia il blocco israeliano deve finire e si deve ripristinare il collegamento politico con la Cisgiordania. Questo potrà avvenire solo con un profondo cambiamento della politica israeliana e un processo di riforma del movimento nazionale palestinese. ◆
The New Arab è un quotidiano panarabo con sede a Londra. La sua versione in arabo è Al Araby al Jadid.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1534 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati