Quando Yocheved Lifshitz, un’attivista per la pace israeliana di 85 anni, è stata liberata da Hamas, l’hanno filmata mentre stringeva la mano di un miliziano incappucciato, forse uno dei suoi carcerieri. Lifshitz gli ha detto shalom, pace in ebraico. È stato un momento toccante di umanità in un mondo diviso. Nella conferenza stampa la donna ha raccontato di essere stata trattata bene durante la prigionia, nonostante il brutale rapimento dal kibbutz in cui viveva. I suoi valori, e il fatto che il marito era ancora nelle mani di Hamas, avranno inciso su queste parole, ma il comportamento di Lifshitz offre una lezione importante: un gesto di gentilezza verso una persona che rappresenta il nemico può dimostrare che siamo tutti umani, mentre l’istinto di vendetta riporta a galla il passato.
Gli israeliani sono feriti e arrabbiati. Il massacro di 1.400 persone e il rapimento di 220 ostaggi compiuti da Hamas sono crimini terribili. Ma la giustizia dovrebbe essere amministrata all’interno di un quadro istituzionale, non devono essere i palestinesi innocenti a pagare. Finora più di 6.500 palestinesi sono morti a Gaza e gran parte erano bambini. I crimini di guerra di Hamas contro i civili israeliani non giustificano i crimini di guerra delle forze israeliane contro i civili palestinesi. Bisogna permettere che altri ostaggi lascino Gaza, ma la possibilità di riportare a casa donne, bambini e anziani sta svanendo in fretta.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha chiesto più tempo per le trattative sugli ostaggi e ha spinto per far avere aiuti umanitari alla popolazione palestinese. Ancora meglio sarebbe ascoltare l’invito del segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres per un “cessate il fuoco umanitario immediato” nella Striscia di Gaza. Israele deve pensare al futuro. Guterres ha ragione quando sottolinea che gli attacchi di Hamas “non sono arrivati dal nulla” e che i palestinesi hanno subìto 56 anni di “occupazione soffocante”. Dopo la fine di Hamas servirà una risposta migliore di un conflitto irrisolvibile.
Israeliani e palestinesi sono intrappolati in una spirale in cui ognuno cerca di vendicare un torto: quando una parte pensa di essersi vendicata, l’altra ritiene che i conti non siano stati saldati. Il risultato è una storia recente impregnata di sangue. Entrambe le parti devono cominciare a mostrare un minimo di empatia per l’altra, in modo che la violenza smetta di segnare il presente. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1535 di Internazionale, a pagina 21. Compra questo numero | Abbonati