Il cinquantesimo lungometraggio dell’infaticabile Woody Allen è stato girato integralmente (in francese) in Francia, paese che funge da terra d’asilo per registi con un passato problematico. In questo film parigino il regista newyorchese torna al filone della metà degli anni duemila (Match point, Scoop), trapiantandone gli elementi in una rive droite che Allen immagina come un nido di miliardari e poeti.
Fanny, moglie del ricchissimo Jean, comincia a tradirlo con Alain. All’inizio tutto sembra ultra-artificiale, un succo dei luoghi comuni più abusati. Almeno finché non compare Valérie Lemercier nei panni dell’astuto grillo parlante (in qualche modo un alterego di Allen). Il tutto prende definitivamente corpo quando Jean si rivela una specie di psicopatico (e Melvil Poupaud eccelle in questo genere di ruoli). Una canzone che conosciamo, che però funziona e continua a funzionare anche a forza di ripetersi. Qual è l’ossessione di questo regista per gli uomini che non sono quello che dicono di essere e che nascondono i segreti più oscuri sotto una maschera di affabilità?
Laura Tuillier, Libération
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Questo articolo è uscito sul numero 1541 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati