Edwin Vincent de Valu, redattore disamorato della casa editrice Panderic, un giorno trova un manoscritto sorprendente nel mucchio della robaccia che arriva di solito: un manuale di autoaiuto che funziona davvero. Scritto in modo atroce, coperto di adesivi di margherite e lungo più di mille pagine, a pochi mesi dalla pubblicazione Quello che ho imparato sulla montagna del misterioso Rajee Tupak Soiree sostituisce qualunque altro libro nei negozi e il mondo si ferma. Crollano le aziende del tabacco, i cartelli della droga, le catene di fast food, i fabbricanti di armi, le case di moda, le cliniche di disintossicazione e anche la borsa stessa; insomma viene giù tutto quello che lucra su nevrosi e avidità. La Panderic, più ricca di un paese di medie dimensioni, decide di registrare la parola “felicità” ma Edwin fa parte di quel 3 per cento di popolazione che ne è immune e decide di riportare tutto al suo posto. Quando Ferguson è bravo riesce a essere molto divertente, ma a volte perde il ritmo. Nella seconda parte del romanzo ci sono talmente tanti discorsi sulla bellezza della vita vera (con le sue tristezze, i suoi errori, i suoi imprevisti) che verrebbe voglia di mettersi a mangiare unicamente germogli alfalfa e soia solo per fargli dispetto. Per me però le parti più disturbanti di Felicità® sono nel primo capitolo, in cui Edwin de Valu rovista nella pila dei manoscritti: molte delle proposte assurde che descrive sono simili a cose che io avevo spedito alle case editrici.
Alexander Masters, The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1545 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati