Miliardi di animali ogni anno migrano, percorrendo distanze enormi per trovare da mangiare e per riprodursi. Queste specie servono da indicatori dello stato di salute della Terra e svolgono un ruolo importante nella sopravvivenza di ecosistemi complessi. Per la prima volta uno studio delle Nazioni Unite ha esaminato in che stato si trovano e il loro rischio di estinzione, confermando l’effetto dannoso delle attività umane sul pianeta.
È a rischio di estinzione più di un quinto delle 1.189 specie migratorie considerate dalla convenzione sulla conservazione delle specie migratrici degli animali selvatici (Cms). Per quasi la metà di questi animali, si registra un calo della popolazione, a causa delle forti pressioni derivanti dalla perdita dell’habitat e dallo sfruttamento eccessivo. Ad aggravare il bilancio si aggiungono la crisi climatica, il diffondersi di specie invasive e la pesca intensiva. La posta in gioco è alta. Quasi tutti i pesci inclusi nella lista della Cms sono ad “alto rischio di estinzione”: dagli anni settanta a oggi le loro popolazioni sono diminuite del 90 per cento. I gorilla e quasi la metà di tutte le testuggini e tartarughe tutelate dalla convenzione rischiano di scomparire. Tra le specie in declino ci sono l’anguilla europea, la pittima minore, che percorre volando distanze straordinarie tra l’Alaska e l’Australia, e il pipistrello della frutta paglierino, protagonista della più grande migrazione di mammiferi attraverso l’Africa.
In Uzbekistan è in corso un vertice mondiale sulla tutela delle specie migratorie. È un’opportunità per tradurre i dati scientifici in azioni concrete. Un punto di partenza può essere mappare tutti i luoghi dove gli animali migratori vanno ad accoppiarsi, nutrirsi e riposarsi, per poi proteggerli. Non c’è più tempo da perdere. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1550 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati