Françoise Ega – detta Mam’Ega – arriva dalle Antille a Marsiglia alla metà degli anni cinquanta. Ha una trentina d’anni e un diploma di dattilografa. Ascoltando le storie delle sue “sorelle” antillesi che lavorano come domestiche nelle case borghesi della città, decide di farsi assumere anche lei. Tra il 1962 e il 1964 riempie interi quaderni con la cronaca di prima mano dello sfruttamento razzista, sessista, capitalista e colonialista praticato dentro le case della Marsiglia per bene. Donna di lettere e femminista intersezionale ante litteram, parla delle dita gelate d’inverno, del bullismo subìto ma anche della capacità di riprendersi la sua forza. Il suo sguardo tagliente non risparmia nessuno e il suo umorismo caustico denuncia con amarezza la “miseria sociale dovuta allo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi indipendentemente dal colore della loro pelle”. Introvabile da diversi anni, la ristampa di questo testo, pubblicato da L’Harmattan nel 1978, ci permette di (ri)scoprire la preziosa prospettiva di Mam’Ega ancora così attuale.
Hélène Servel, Télérama
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Questo articolo è uscito sul numero 1552 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati