P robabilmente è la fotografia più famosa di Jeff Wall, artista canadese nato nel 1946 a Vancouver, dove continua a vivere e a lavorare. Un’immagine molto nitida ma incredibilmente misteriosa, quasi incomprensibile. Come ha fatto il fotografo a bloccare l’istante in cui del latte sembra esplodere da un sacchetto di carta tenuto in mano da un uomo seduto sul marciapiede? Il liquido in volo prende una forma plastica, quasi scultorea. Ci sono alcune foto che sono frutto del caso, ma questa, al contrario delle apparenze e come quasi tutte le opere di Wall, è una messa in scena sapientemente orchestrata. È stata realizzata per far credere che il fotografo fosse al posto giusto nel momento giusto per cogliere “un fenomeno così rapido che senza la fotografia non potremmo neanche concepirne la forma”. Tutto il lavoro di Jeff Wall è sia una profonda riflessione sulla natura della fotografia sia l’applicazione pratica di un metodo teorico. In questa foto Wall rimette in discussione in modo brillante il famoso istante decisivo del fotografo francese Henri Cartier-Bresson; non lo deride, ma ci spinge a riflettere sulla veridicità illusoria che accordiamo alle immagini fotografiche.

“Non ho mai contestato il dominio o la centralità dell’idea di reportage in campo fotografico. Negli anni settanta e ottanta ho solo sostenuto che esistevano altre dimensioni della fotografia che dovrebbero essere esplorate, quelle che hanno a che fare con l’artificio e che io chiamo ‘cinematografia’. Il fatto era – e probabilmente è così ancora oggi – che questi aspetti hanno lo stesso valore artistico, ma forse non la stessa importanza sociale. Inoltre queste dimensioni possono portare a risultati artistici molto validi e del tutto diversi da qualunque altro approccio fotografico, comprese le forme più rigorose del reportage fotografico. Ho realizzato parecchie foto che definisco ‘quasi documentarie’. Mi riferisco in particolare alle immagini che nascono il più delle volte dal fatto che ho visto qualcosa e non ho potuto fotografarlo direttamente, così ho ricostruito in un secondo momento quell’avvenimento per farlo somigliare a un reportage. Le mie foto che somigliano a dei reportage rappresentano la mia riflessione sull’apparenza della realtà”. Questa scelta artistica la si può vedere in diverse creazioni di Wall come A sudden gust of wind (after Hokusai) del 1993, in cui una tempesta fa volare via dei fogli bianchi di carta, disposti in una composizione rigorosa. È una delle prime immagini che Wall ha realizzato in digitale, unendo decine di scatti diversi. L’omaggio alle Trentasei vedute del monte Fuji dell’artista giapponese Katsushika Hokusai, fa capire come Jeff Wall conosca bene la storia dell’arte, soprattutto la pittura. Dopo i suoi studi al Courtauld institute of arts a Londra, nel Regno Unito, Wall ha insegnato e scritto diversi saggi su artisti contemporanei, ha analizzato i lavori dei suoi colleghi di Vancouver tra cui Rodney Graham, Ian Wallace e Ken Lum, e dagli anni ottanta ha contribuito allo sviluppo della scuola di fotografia di Vancouver. Inoltre ha scritto delle brevi sceneggiature mai portate sullo schermo.

Tecnica e libertà

Ognuna delle sue fotografie somiglia a una notizia di cui non conosceremo mai l’epilogo. “In un determinato momento ho pensato che il mio lavoro fosse simile alla Commedia umana di Balzac, rivolto a mostrare varie categorie sociali. Probabilmente è quello che faccio, ma a un certo punto ho un po’ dimenticato questo programma. Nel lavoro di un artista non bisogna trascurare il carattere fortuito o accidentale”. Con il tempo, l’ispirazione proveniente dalla letteratura è diventata sempre più importante, con riferimenti ad artisti come Yukio Mishima e Franz Kafka. In After ‘Invisible man’ by Ralph Ellison, the prologue, che risale al 1999-2000, il riferimento è ancora più esplicito: Wall ha voluto ricreare la casa del narratore, che era la cantina di un palazzo di Harlem nel 1936, illuminata da centinaia di lampadine che permettevano all’uomo di scrivere la sua opera. Il contrasto tra la desolazione del posto – stoviglie sporche, biancheria appesa ai fili, pile di libri in disordine – e la magia delle luci ha un valore particolare: “Il processo creativo di questa stanza, con il pavimento irregolare, la gamma di colori e il flusso turbolento del motivo delle lampadine è stato un lavoro plastico, che si è avvicinato a un trattamento pittorico molto stimolante”.

A sudden gust of wind (after Hokusai), 1993.

Wall ha una grande capacità tecnica e al tempo stesso un’ampia libertà creativa, come ha spiegato nei suoi scritti: “Negli anni venti l’idea che la fotografia potesse essere un’arte a tutti gli effetti, come la pittura o la letteratura, era considerata reazionaria, perché la cosa interessante era che fosse un’arte completamente nuova, un’arte di avanguardia. Questa idea è stata superata negli anni sessanta. Per me la fotografia è un processo di creazione di immagini, di conseguenza è impossibile che non possa essere un’arte come tutte le altre, poiché l’arte è un’attività di creazione di immagini”.

Parent child, 2018

La forma dell’arte

Wall, che si è fatto conoscere soprattutto per il grande formato e per i light-boxes, delle scatole retroilluminate usate all’epoca solo nel mondo della pubblicità, ha realizzato anche delle immagini con il suo telefono allestendo una mostra con foto in piccolo formato. Il suo punto di riferimento rimane però sempre la pittura: “Un pittore può cominciare con una tela bianca, fare un quadro e poi tornarci molte volte per arrivare a qualcosa di completamente diverso. In questo tipo di opere si avverte il processo di trasformazione, si percepisce una sensazione di tempo interiore. Io creo delle immagini che sono oggetti, come quello che di solito chiamiamo quadro. Un quadro è un’immagine in quanto oggetto autonomo, che deve essere sperimentato fisicamente, immediatamente, attaccato al muro di una stanza qualunque. Per me il light-box era un’amplificazione della forma del quadro, ma niente di più. Da questo punto di vista, ritengo di essere un artista visivo tradizionale”.

The flooded grave, 1998–2000

Un artista visivo che può inventare dei mondi enigmatici, ai limiti del surrealismo, come con The flooded grave, realizzato tra il 1998 e il 2000. È la vista di un cimitero con una tomba aperta in primo piano; solo che nella tomba aperta non c’è una bara, ma una barriera corallina con anemoni e stelle di mare, e l’insieme della scena è molto banale. “Ho immaginato questo scatto come un’allucinazione della durata di una frazione di secondo: quella della vita più elementare, che persiste dove meno te lo aspetti”.

After ‘Invisible man’ by Ralph Ellison, the prologue, 1999–2000

Wall è una star del mercato dell’arte contemporanea, dove si è fatto notare negli anni ottanta insieme ad altri grandi nomi come quello di Cindy Sherman. La sua opera Dead troops talk, una visione apocalittica della guerra dei russi in Afghanistan, ha raggiunto una quotazione di 3,2 milioni di dollari, ed è stata fonte di ispirazione per altri grandi autori come Andreas Gursky. Per Wall la creazione ha senso solo se riesce a mettere in contatto osservazione del mondo contemporaneo e storia dell’arte. E anche se non ci dà mai un’interpretazione delle sue immagini, molte sono legate a temi come razzismo e violenza, e la maggior parte parla della solitudine dell’essere umano. Wall sintetizza così la sua concezione della fotografia: “La fotografia cattura meccanicamente la realtà. In un disegno, un dipinto o una scultura, il tocco dell’artista è unico. Noi fotografi non abbiamo questa facoltà. Il mio obiettivo è confrontarci con questa limitazione. In fotografia si può passare dall’artificio al realismo”.

Questo ci spinge a diffidare di quello che vediamo, oggi più che mai. Le apparenze sono ingannevoli e per leggere correttamente un’immagine è fondamentale essere informati sulla sua natura e sulle sue condizioni di produzione. ◆ adr

La mostra

◆ La mostra Jeff Wall è in corso fino al 21 aprile alla fondazione Beyeler di Basilea, in Svizzera (fondationbeyeler.ch). Il catalogo è pubblicato dalla casa editrice Hatje Cantz.


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Questo articolo è uscito sul numero 1559 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati