La letteratura di Melinda Moustakis è quasi un manuale per imparare a intrecciare l’ambientazione di una storia con le vite dei suoi personaggi. Ma soprattutto svela che quell’intreccio è inestricabile: i luoghi non sono separabili dalla vita. In 150 acri si addentra in Alaska esplorando la tensione tra la volontà umana e quella del territorio, e tra personaggi che cercano sia unione sia solitudine in un luogo per loro assolutamente nuovo. Lawrence e Marie sono due sposi appena arrivati ad Anchorage che si avventurano in quei luoghi selvaggi per assicurarsi un pezzo di terra dove abitare. Per Lawrence si tratta di mettere su famiglia dopo aver combattuto nella guerra di Corea, per Marie vivere in Alaska significa un nuovo futuro al di là delle aspettative che pesavano su di lei in Texas. Queste due strade parallele danno forma a un romanzo che descrive quanti atti di rimozione, sia personali sia collettivi, sono necessari per resistere come coppia in un’Alaska che sta per trasformarsi in uno stato degli Stati Uniti. La prospettiva mutevole del romanzo consente al lettore di vedere ciò che Lawrence e Marie non possono ancora rivelare o sapere l’uno dell’altra e di sentire la spinta e l’attrazione tra marito e moglie, tra uomo e territorio e tra proprietà e sovranità. Lawrence e Marie costruiscono una narrazione del loro matrimonio che gli consente di sopravvivere. Anne Valente, Chicago Review of Books
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati