C’è qualcosa di meraviglioso in quegli scrittori che trovano la loro vena letteraria e la seguono, romanzo dopo romanzo, senza doversi per forza reinventare ogni volta. Willy Vlautin l’ha individuata nella classe operaia dell’ovest americano, oberata dai debiti, devastata da alcolismo e depressione ma resa vitale, spesso, dalla musica, dall’amicizia e dalla connessione con la natura. Nel Cavallo facciamo la conoscenza di Al Ward, un musicista di 65 anni “magro come un chiodo, capelli grigi e occhi blu” che si nasconde in una miniera abbandonata nel deserto del Nevada con la sola compagnia delle sue canzoni e dei suoi ricordi. Una mattina gli compare davanti un cavallo malconcio e mezzo cieco e lui è costretto ad affrontare qualcosa di diverso dai suoi sogni di gloria infranti e dalle relazioni sbagliate del suo passato. Fa quello che può per aiutare l’animale, gli dà degli spaghetti e tiene lontani i coyote, sempre coltivando la speranza che a un certo punto se ne vada come era arrivato. Il cavallo è una storia triste ma anche agile e, con i suoi salti avanti e indietro nel tempo, anche molto appassionante. Questo libro è conciso e straziante come una bella canzone folk.
Killian Fox, The Observer
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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati