Yellowface è un thriller ma anche una satira feroce dell’editoria e di una certa sgradevole cultura di internet. Ma soprattutto, come ci ricorda Junie Hayward, l’antieroina e narratrice del romanzo, una stessa storia può essere raccontata in modi diversi. Tutto comincia in un lussuso bar di Washington DC in cui Athena Liu e la sua meno dotata e invidiosissima compagna di università Junie festeggiano il contratto che Athena ha appena firmato con Netflix. Qualche pagina dopo Athena giace morta con gli occhi strabuzzati nel suo appartamento e Junie torna a casa in stato confusionale con un manoscritto appena completato nella borsa. E così ha inizio la sua grande truffa letteraria. Hayward ripulisce L’ultimo fronte, un epico romanzo sul ruolo dei cinesi nella prima guerra mondiale scritto da Athena, e lo vende a una casa editrice con uno pseudonimo etnicamente ambiguo a una cifra esorbitante. Improvvisamente anche lei diventa una superstar. Nel raccontare la vicenda dal punto di vista totalmente autoassolutorio di Junie, Kuang mette in gioco un po’ di luoghi comuni su letteratura e autenticità. Ecco una ragazza bianca che ha letteralmente rubato – la metafora non è certo sottile ma è efficace – una storia cinese per farci dei soldi. Ma alla fine i romanzieri non sono tutti un po’ dei ladri? Se l’obiettivo di Kuang era un equilibrato dibattito sulle guerre culturali, ha un po’ esagerato con il trucco di scena della sua odiosa narratrice.
Susie Goldsbrough,The Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati