Il leader nordcoreano Kim Jong-un ha accolto il 19 giugno a Pyongyang il presidente russo Vladimir Putin, che da 24 anni non metteva piede in Corea del Nord. Decine di migliaia di persone vestite di rosso, bianco e blu – i colori delle bandiere dei due paesi – si sono radunate in piazza Kim Il-sung. Putin ha ringraziato Kim per il sostegno della Corea del Nord nella guerra in Ucraina, Kim ha definito Putin “il più caro amico del popolo coreano” e “i compagni russi i nostri amici più onesti”. I due hanno firmato un patto che Kim ha definito “pacifico e difensivo” e che, ha aggiunto il presidente russo, “non esclude l’assistenza reciproca in caso di aggressione contro una delle due parti firmatarie”. Il documento, ha aggiunto Kim, eleva la relazione tra i due paesi al livello di un’“alleanza”. I termini dell’accordo non sono stati resi noti ma, stando al sito del Cremlino, includono “la cooperazione in campo sanitario, medico e scientifico”, senza escludere “quella tecnico-militare”. La visita di Putin simboleggia il cambiamento della politica estera nordcoreana, titola The Diplomat. “Due crisi internazionali hanno inciso profondamente sulla leadership di Kim Jong-un: la pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina. Entrambe hanno portato cambiamenti sostanziali, modificando i pilastri del processo decisionale. La pandemia ha insegnato a Kim che non deve dipendere troppo dalla Cina e che l’isolamento autoimposto può giovare alla coesione ideologica interna. All’inizio dell’anno Kim ha definito la Corea del Sud ‘il nemico principale’ e ha rinunciato alla riunificazione della penisola, da sempre obiettivo del regime. Ha inoltre mostrato i segnali di un ritorno al principio di equidistanza da Pechino e da Mosca, nell’ottica di fare della Corea del Nord un formidabile attore globale abbandonando trent’anni di diplomazia condizionata dalle necessità più stringenti”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1568 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati