“In una normale campagna elettorale, il dibattito televisivo del 27 giugno sarebbe stato sufficiente per mettere fine alla carriera politica di Joe Biden”, scrive sul Wall Street Journal il vicedirettore Matthew Hennessey. “La sua prestazione è stata disastrosa. Secondo le regole della politica, Biden dovrebbe immediatamente lasciare lo scettro presidenziale, poco importa a chi. Ma queste non sono elezioni come le altre. L’avversario di Biden è Donald Trump. E le norme democratiche sono sospese. Gran parte del paese – inclusi i mezzi d’informazione e il Partito democratico – è convinta che un secondo mandato a Trump rappresenti una minaccia senza precedenti per la democrazia. Per questo il candidato repubblicano dev’essere fermato, anche se per farlo bisogna sovvertire la democrazia stessa. Nell’articolo in cui chiede a Biden di farsi da parte, il direttore del New Yorker David Remnick descrive il voto come ‘un referendum sulla democrazia’ e sostiene che la vittoria di Trump porterebbe a una ‘diminuzione della democrazia liberale’. Ci si aspetterebbe una spiegazione, qualche tesi solida. Ma i liberal e i progressisti usano questi argomenti da tanto tempo che ormai pensano si reggano da soli. Non è così. Come può un voto presidenziale essere un referendum sulla democrazia? Gli statunitensi hanno eletto Trump nel 2016, non l’hanno confermato nel 2020 e forse lo sceglieranno ancora nel 2024. È questa la democrazia. A volte si vince, altre si perde. Evidentemente uno dei due grandi partiti del paese e le persone che gestiscono i maggiori giornali nazionali non hanno fiducia nella scelta degli statunitensi”.
“Per Biden questo momento di pericolo passerà. Anzi, se è vero che il presidente Biden non si ritirerà dalla campagna elettorale, forse è già passato”, commenta Rich Lowry sulla National Review. “Eppure bisognerà ricordarlo. Specialmente quando, forse tra non molto, ci verrà detto che il presidente Biden sta superando le aspettative e che sceglierlo per un secondo mandato è un imperativo morale irrefutabile. Nelle ultime 72 ore diversi opinionisti di sinistra hanno capito che un’eventuale conferma di Biden aprirà inevitabilmente un grave crisi per il paese, che si manifesterà con un declino inesorabile, un crollo immediato o perfino con la morte del presidente. È esattamente questa la prospettiva che ci aspetta se Biden non si ritirerà dalla corsa e se nessuno di questi politologi ammetterà che a novembre sarà impossibile sostenerlo con convinzione. Queste persone sono pronte a mandar giù qualsiasi cosa pur di fermare Trump. In questo modo, però, hanno di fatto rivelato che la loro è una scelta in malafede, in grado di causare gravi danni al paese”.
Partendo dal presupposto che per i democratici non è facile cambiare il candidato alla presidenza, il sito di destra The Federalist scrive che “per il partito il vero problema è politico, perché abbandonare Biden vorrebbe dire trascurare i risultati delle primarie dopo aver accusato per anni i rivali repubblicani di non voler accettare i risultati delle elezioni. E poi ci sarebbe un’altra questione: Biden non più candidato ma ancora in carica come presidente. Tutto questo ci porta al vero problema dei democratici: Kamala Harris. Nel partito tutti sanno che la vicepresidente è come la kryptonite, incredibilmente stupida ed estremamente insopportabile. A questo punto, il compito dei democratici sarà trovare un modo per disfarsi di Biden come candidato, tenerlo in carica fino a fine mandato e impedire a Harris di diventare la candidata alla Casa Bianca. È un compito impossibile da portare a termine senza ricorrere alla violenza e a tattiche che mettono a rischio la repubblica”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati