“Il 1 luglio la corte suprema degli Stati Uniti ha emesso una sentenza che potrebbe avere ripercussioni sulla campagna elettorale per le presidenziali di novembre e anche sull’equilibrio dei poteri nel lungo periodo”, scrive il Christian Science Monitor. I giudici hanno deciso che gli ex presidenti hanno diritto a una parziale immunità per le azioni portate avanti nell’esercizio delle loro funzioni. Quindi non possono essere processati per i loro atti ufficiali. La questione è arrivata alla corte suprema su richiesta degli avvocati di Donald Trump, che è imputato in tre processi penali, tra cui uno in cui è accusato di aver cospirato per sovvertire il risultato delle elezioni del 2020. I giudici hanno stabilito che Trump può godere dell’immunità per alcune azioni oggetto del processo, ma ha specificato che non tutte sono ufficiali e che l’immunità non vale per quelle non ufficiali. “Saranno i tribunali di grado inferiore a tracciare di volta in volta i confini tra atti ufficiali e non ufficiali”, spiega il Financial Times. La prima conseguenza della sentenza è che i processi penali in cui Trump è imputato non si svolgeranno prima delle elezioni di novembre. Se Trump dovesse vincere le elezioni, a quel punto avrebbe l’autorità per chiudere i casi. Il New York Times scrive che “la decisione dei giudici implica una straordinaria espansione del potere esecutivo che farà sentire i suoi effetti anche dopo l’uscita di scena di Trump”. Negli stessi giorni la corte suprema ha emesso altre sentenze che sono state oggetto di critiche. In un caso ha limitato l’autorità del governo di emanare regolamenti. “Diventerà più difficile per Biden o per il suo successore approvare provvedimenti su una serie di questioni, dalla cancellazione dei debiti studenteschi al contenimento dell’inquinamento fino alla regolamentazione dell’intelligenza artificiale”, scrive Politico. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati