Vita fra i giganti è una solida, generosa storia su un giovane uomo che si ritrova ad avere a che fare con delle celebrità. Senza ombra di satira, offre una sagace riflessione sul rapporto conflittuale degli Stati Uniti con la fama. Il narratore della storia, David Hochmeyer, un ragazzone alto due metri, mi ricorda quel vicino di casa che un giorno cadde sotto l’incantesimo di Gatsby, rimanendone “allo stesso tempo incantato e disgustato”. In effetti le prime pagine di Vita fra i giganti ricordano il classico di Fitzgerald: dall’altra parte del laghetto rispetto alla modesta casa di David c’è “una villa delle dimensioni di un’ambasciata” che attira l’attenzione di tutti ed evoca la possibilità di fantastiche storie d’amore. Sylphide, la donna che vive lì, è “la più grande ballerina della storia” e danzerà attraverso la vita di David per quarant’anni. Quando i genitori del protagonista vengono misteriosamente uccisi, lui e la sorella Katy si ritrovano alla deriva. Quel sanguinoso assassinio ha un misterioso legame con Sylphide, che perseguiterà David nei decenni a venire. Roorbach per tutto il romanzo si barcamena tra il credibile e l’impossibile. Su alcune scene aleggia un’aria da sogno che ci ricorda quanto la prossimità con le persone famose crei una certa distorsione della realtà. Il romanzo è infinitamente lungo ma anche infinitamente appassionante. Roorbach è un narratore molto umano e coinvolgente, con uno stile pieno di grazia.
Ron Charles, The Wall Street Journal
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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati