Figlio di un algerino e di un’andalusa, Munir Hachemi (nato a Madrid nel 1989) si è laureato in filologia ispanica e ha scritto diversi libri autopubblicati. Cose vive è il suo primo lavoro a uscire con una casa editrice. Il risultato, che l’autore definisce un thriller del lavoro, è un riaggiustamento di quel genere ormai ben noto come autofiction. Il viaggio di quattro amici che vanno a fare la vendemmia in Francia come stagionali fa nascere l’idea che ciascuno di loro scriva un racconto per poi pubblicarlo e venderlo con il passaparola. La vendemmia non ci sarà a causa della siccità e i quattro si troveranno a lavorare in diversi allevamenti. Il racconto di Munir Hachemi è andato lungo ed è diventato un romanzo breve, una novella che cambia pelle – e quasi genere – in ciascuna delle sue otto parti, sempre sul solido terreno del thriller. Cose vive è un’autofiction che non solo descrive il suo autore e narratore in quello che fa ma funziona anche da denuncia sociale, politica, sanitaria ed economica: è un libro contro l’industria della carne ma anche contro il razzismo, contro la precarietà economica e contro la voracità del capitalismo. Autofiction come arma e come scudo allo stesso tempo. Cose vive funziona, ha personalità e ci fa avanzare in linea retta creando ramificazioni che ci danno ulteriori informazioni e indizi. La vita però non ha senso narrativo e non ne conosceremo mai tutte le cause e tutti gli effetti. Cerchiamo solo di fare in modo che la nostra vita reale sia verosimile per comprenderla e tranquillizzarci. Alla fine siamo solo – o anche – cose vive, selvagge, narrazioni senza intenzione né brillantezza.
Carlos Zanón, El País

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Questo articolo è uscito sul numero 1572 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati