◆ Le “climatopie”, progetti futuristici di insediamenti resistenti alle alluvioni, stanno guadagnando popolarità, soprattutto nelle aree più esposte al rischio di essere sommerse nei prossimi decenni. I piani prevedono la costruzione di città galleggianti o anfibie, o anche di aree di terraferma artificiale. Su Nature i ricercatori Idowu Ajibade e Sameer Shah cercano di stabilire dei criteri per garantire la sostenibilità dei progetti. I governi e le aziende costruttrici insistono sulla necessità di aumentare la disponibilità di alloggi, ridurre il rischio di inondazione e risparmiare energia. Chi si oppone ai progetti ribatte invece che ostacolano gli sforzi di adattamento sostenibile e servono ad aumentare il valore delle proprietà vicino ai mari e ai fiumi. In realtà l’idea di vivere sull’acqua non è nuova. Alcuni esempi sono i battelli usati come abitazione e i mercati galleggianti di molte città, i villaggi su palafitte e le isole artificiali fatte di canne e radici. Le climatopie si distinguono per le loro soluzioni ad alta tecnologia, ma potrebbero provocare la distruzione delle foreste di mangrovie e delle aree umide che difendono le coste dall’erosione. Le città anfibie e galleggianti rischiano anche di alterare la direzione dei venti, l’evaporazione, l’illuminazione solare e i flussi di calore. Inoltre potrebbero aumentare il rumore e l’inquinamento, con conseguenze negative per piante e animali. In fase di progettazione serve quindi più attenzione all’interazione con gli ecosistemi.
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Questo articolo è uscito sul numero 1578 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati