La quarta raccolta di racconti di Andre Dubus prende il titolo da un’osservazione di Tommaso Moro che nessuno potrebbe mettere in discussione: “I tempi non sono mai così cattivi da non trovarci un uomo buono”. Anche se i personaggi non sono propriamente “buoni” – molti di loro commettono crimini di vario tipo – la straordinaria empatia con cui sono descritti dall’autore non li fa risultare semplicemente cattivi: Dubus ha il dono di farci sentire, con una sorta di meravigliosa chiaroveggenza, le loro voci interiori. I pezzi forti di questa raccolta (il primo racconto La ragazza carina e l’ultimo, Storia di un padre) sono un trionfo, memorabili per il modo in cui riescono a risuonare. La ragazza carina del titolo è una giovane donna di nome Polly, separata dal marito per ragioni che a lui sfuggono ma che sono molto chiare a noi lettori, e destinata a diventare la sua assassina. È una ventenne quasi alcolista apparentemente intelligente ma che in realtà vive come in stato di sonnambulismo. I racconti di Dubus possono non piacere a tutti, visto che i suoi personaggi sono volutamente ingenerosi e poco accattivanti. Molti tracannano birra in quantità e soffrono di pesanti doposbronza. Tutti hanno una dipendenza di qualche tipo (alcol, fumo, caffè, anfetamine) che l’autore riesce a descrivere con straordinaria partecipazione e ricchezza di dettagli. Altri sarebbero tentati di drammatizzare i guai dei protagonisti per smascherare le loro strategie di autoassoluzione. Dubus invece ha intenzioni decisamente diverse.
Joyce Carol Oates, The New York Times (1983)
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Questo articolo è uscito sul numero 1579 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati