Quelli che restano è un romanzo abitato da uomini “che se ne stanno per conto loro” e che più o meno sono contenti così. Ci sono anzitutto i due uomini del titolo (in originale De kapperszoon, Il figlio del parrucchiere). Il primo, Cornelius, è scomparso e l’altro, Simon, ha un negozio di parrucchiere dove ormai espone quasi sempre il cartello “chiuso”. Ha un nonno, anche lui parrucchiere, e una mamma che gli ricordano una mancanza: quella di suo padre. Pochi mesi prima che Simon nascesse era salito su un aereo per Tenerife: era il 1977 e quel volo sarebbe diventato il peggior incidente aereo della storia. Un giorno uno dei suoi clienti gli dice di essere uno scrittore e gli chiede di osservarlo mentre lavora, perché sta scrivendo un romanzo con un barbiere come protagonista e lui vorrebbe usare le parola giuste. “Ma io non parlo quasi mai”, dice Simon. Lo scrittore comincia comunque a fargli domande. Simon non è un solitario o un misantropo: sembra semplicemente una persona distaccata. Come in Swimming pool, il film di François Ozon in cui una scrittrice di polizieschi in cerca d’ispirazione si ritrova dentro al suo stesso giallo, ci si chiede fino a che punto Quelli che restano si apra a una sorta di realtà parallela. Lo scrittore a un certo punto prende il sopravvento e sorprende i personaggi infilandoli nella sua storia. Potrebbe sembrare una cosa complicata ma il romanzo non ha nulla di forzato, anzi le sue pagine sembrano sempre pervase da qualcosa di magico. Marja Pruis, De Groene Amsterdammer

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Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati