Dopo settimane di negoziati e polemiche il 17 settembre Ursula von der Leyen ha annunciato la composizione della nuova Commissione europea, di cui sarà presidente, per un secondo mandato, fino al 2029. Sarà composta da 16 uomini e 11 donne e avrà sei vicepresidenti, tra cui l’estone Kaja Kallas, nel ruolo di alto rappresentante per gli affari esteri, e la spagnola Teresa Ribera, responsabile del Green deal europeo. Quattordici commissari, contro i dieci della scorsa legislatura, arrivano dal Partito popolare europeo, cinque dai socialisti e altrettanti dai liberali di Renew. Ci sono infine un iscritto al gruppo di destra Conservatori e riformisti europei (Ecr), l’italiano Raffaele Fitto, e due indipendenti. I candidati dovranno sostenere un’audizione al parlamento europeo, che poi dovrà approvare in blocco la Commissione. Come scrive Le Monde, i nuovi equilibri “riflettono tre tendenze: l’autorità della presidente von der Leyen, l’evoluzione dei rapporti di forza tra gli stati e la crescita delle forze di destra alle elezioni europee”. La laboriosa composizione del gruppo è stata accompagnata anche dalle polemiche sull’esclusione del commissario francese uscente Thierry Breton, con delega a mercato interno e servizi, che il presidente Emmanuel Macron aveva proposto per un secondo mandato. Spesso critico verso le scelte di von der Leyen, Breton si è dimesso il 16 settembre, dopo che la presidente aveva chiesto a Parigi di non confermarlo, promettendo in cambio un portafoglio più prestigioso per la Francia. A quel punto Macron ha nominato il ministro degli esteri Stéphane Séjourné, che si occuperà di prosperità e strategia industriale. “Dopo averne appoggiato la riconferma”, scrive Le Figaro, “ora Macron prende ordini da von der Leyen, l’aiuta a regolare i conti personali e asseconda il suo dirigismo. Dire che quest’episodio ha danneggiato la Francia è dire poco”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1581 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati