L’escalation tra Israele e Hezbollah evidenzia per l’ennesima volta l’impotenza delle Nazioni Unite, riunite fino al 30 settembre a New York nel vertice annuale dell’assemblea generale, un rituale che da tempo è solo un guscio vuoto. I due grandi conflitti in corso – Ucraina e Gaza – hanno mostrato la tragica paralisi del Consiglio di sicurezza, bloccato dal veto russo e da quello statunitense. A questo multilateralismo in panne non sembrano esserci alternative. L’assemblea generale ha moltiplicato le risoluzioni (per cui basta una maggioranza semplice) e il 18 settembre ha chiesto di mettere fine “entro i dodici mesi” all’occupazione israeliana dei territori palestinesi conquistati con la forza e occupati da mezzo secolo. Ma sono decisioni simboliche, che l’Onu non è in grado di far rispettare.
Gli esperti sottolineano che le agenzie delle Nazioni Unite, a cominciare da quelle incaricate di debellare la fame o assistere i rifugiati, continuano ad avere un ruolo essenziale nel sostegno ai più poveri. Ma è arrivato il momento di rilanciare le istituzioni create per rispondere ai conflitti più devastanti. Gli Stati Uniti hanno proposto di aggiungere al Consiglio di sicurezza un seggio per l’America Latina e un altro per i piccoli stati insulari esposti agli effetti della crisi climatica. Washington ha inoltre chiesto che, in caso di allargamento del Consiglio di sicurezza, l’Africa ottenga due seggi permanenti, ma senza diritto di veto.
Questo aspetto forse è il motivo della scarsa attenzione riservata alla proposta. Il paradosso è che l’abbandono a cui sembrano condannate le Nazioni Unite coincide con un numero crescente di crisi: implosioni di stati (dal Sudan ad Haiti, passando per la Birmania), pandemie, ondate migratorie e catastrofe climatica. Tutti problemi che avrebbero bisogno di una risposta multilaterale. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati