Kryvyi Rih, Ucraina (Roman Pilipey, Afp/Getty)

Un paese in guerra ha bisogno dell’acciaio, sia per le armi e le infrastrutture necessarie alla difesa sia come merce preziosa da esportare per tenere in piedi l’economia nazionale. Oggi in Ucraina la più grande acciaieria del paese, la ArcelorMittal di Kryvyi Rih, non sa bene se “ha un futuro”, scrive la Neue Zürcher Zeitung. La fabbrica ha bisogno di risorse che in tempo di guerra sono scarse: soldi, operai ed energia. Prima dell’invasione russa l’85 per cento della produzione era destinata all’esportazione. Poi il regime russo di Vladimir Putin ha bloccato i porti ucraini del mar Nero, nodi vitali per l’economia nazionale. La ArcelorMittal è stata costretta a usare le vie che passano per la terraferma, molto più costose e meno efficienti. Nel 2023, tuttavia, Kiev è riuscita ad aprirsi un varco nel mar Nero e le esportazioni sono riprese. I problemi però non finiscono qui. Ora l’impianto deve fare i conti con il crollo globale della domanda di acciaio, che ha costretto la ArcelorMittal a rallentare la produzione. Inoltre mancano gli operai: da quando è cominciata la guerra 3.500 dipendenti dell’azienda sono stati richiamati nell’esercito, e quasi duecento di loro sono morti. A questi vanno aggiunte le persone fuggite dal paese. Le assenze sono state in parte compensate ricorrendo alla manodopera femminile, conclude il quotidiano svizzero, ma anche le operaie scarseggiano, visto che le donne costituiscono la maggioranza dei sei milioni di ucraini fuggiti all’estero. ◆

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 103. Compra questo numero | Abbonati