La Stellantis, il gruppo automobilistico nato nel 2021 dalla fusione tra la Fiat Chrysler e la francese Psa (Peugeot, Citroën, Ds Automobiles, Opel e Vauxhall Motors), è in crisi profonda. Dall’inizio dell’anno le sue azioni hanno perso il 40 per cento del loro valore, spiega Les Echos. Per questo gli azionisti hanno deciso un radicale cambio dei quadri dirigenti, che riguarderà anche l’amministratore delegato Carlos Tavares, probabilmente da gennaio del 2026. In un’intervista rilasciata al quotidiano francese, il manager sottolinea che nella parte finale del suo mandato continuerà a lottare per vincere la principale sfida del settore automobilistico europeo: la concorrenza cinese nel campo dell’auto elettrica. “Le classi medie”, dice Tavares, “vogliono le auto elettriche al prezzo di quelle con motore a combustione, anche se il costo di produzione è più alto del 40 per cento. Questo mette tutti in difficoltà. Si traduce in una pressione competitiva estremamente forte. E spiega i risultati deludenti delle ultime settimane. A cui purtroppo ne seguiranno altri”. ◆
L’addio di Tavares
Un premio per tre
Il 14 ottobre 2024 il premio Nobel per l’economia è stato assegnato a Daron Acemoğlu, docente del Massachusetts institute of technology (Mit), al suo collega Simon Johnson, ex capo economista del Fondo monetario internazionale, e a James A. Robinson, dell’università di Chicago. Il riconoscimento, scrive Bloomberg, è per i loro studi sul modo in cui le istituzioni influenzano la ricchezza degli stati. “I tre ricercatori”, ha dichiarato Jakob Svensson, presidente del comitato del Nobel per l’economia, “hanno sviluppato nuovi metodi, sia empirici sia teorici, che hanno fatto progredire in modo significativo la nostra comprensione delle disuguaglianze globali”.
L’acciaio è in pericolo
Un paese in guerra ha bisogno dell’acciaio, sia per le armi e le infrastrutture necessarie alla difesa sia come merce preziosa da esportare per tenere in piedi l’economia nazionale. Oggi in Ucraina la più grande acciaieria del paese, la ArcelorMittal di Kryvyi Rih, non sa bene se “ha un futuro”, scrive la Neue Zürcher Zeitung. La fabbrica ha bisogno di risorse che in tempo di guerra sono scarse: soldi, operai ed energia. Prima dell’invasione russa l’85 per cento della produzione era destinata all’esportazione. Poi il regime russo di Vladimir Putin ha bloccato i porti ucraini del mar Nero, nodi vitali per l’economia nazionale. La ArcelorMittal è stata costretta a usare le vie che passano per la terraferma, molto più costose e meno efficienti. Nel 2023, tuttavia, Kiev è riuscita ad aprirsi un varco nel mar Nero e le esportazioni sono riprese. I problemi però non finiscono qui. Ora l’impianto deve fare i conti con il crollo globale della domanda di acciaio, che ha costretto la ArcelorMittal a rallentare la produzione. Inoltre mancano gli operai: da quando è cominciata la guerra 3.500 dipendenti dell’azienda sono stati richiamati nell’esercito, e quasi duecento di loro sono morti. A questi vanno aggiunte le persone fuggite dal paese. Le assenze sono state in parte compensate ricorrendo alla manodopera femminile, conclude il quotidiano svizzero, ma anche le operaie scarseggiano, visto che le donne costituiscono la maggioranza dei sei milioni di ucraini fuggiti all’estero. ◆
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