Quando insistevo sulle mie battute da stand-up comedian (che non sono), me la prendevo affettuosamente con la trasformazione degli uomini incasinati nei romanzi statunitensi e con il loro mestiere: quando avevo vent’anni erano chitarristi, a trenta erano pittori e a quaranta, come dimostrano certi libri di Jenny Offill e Valeria Luiselli, erano sound artist. A un certo punto le chitarre e le tele non bastavano più per impostare con queste figure un rapporto di ricerca, di estrazione e manipolazione di verità meno evidenti. Tolta la battuta e il bisogno di trovare nuove creature romantiche per i romanzi ambientati nel mondo dell’arte, resta in qualcuno la necessità di togliere immagini e riverberi di chitarra per arrivare a una nuova esperienza della canzone.
Se la letteratura è andata verso la sound art, alcuni ricercatori sonori sono andati verso la letteratura: Marco Paltrinieri ne è un esempio perfetto. Ripari minimi, il suo secondo lavoro pubblicato dall’etichetta pugliese Canti Magnetici dopo The weaver, ha un arco narrativo molto lucido: dopo aver rinunciato agli strumenti per il progetto precedente, Ripari minimi è il recupero della musica suonata, ma in maniera stravolta, in un ambiente domestico perturbato da voci familiari nascoste e concentriche per via della reclusione del covid-19. L’effetto è meditativo, costeggia l’horror psicologico, ma non rinuncia alla luminosità concettuale. Ripari minimi è più testuale che filmico, e va proprio ascoltato per capire perché e dov’è la differenza. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati