La questione della giustizia fiscale e della tassazione dei miliardari non uscirà a breve dal dibattito pubblico. Le discussioni su questi temi in corso in Francia, come quelle che si sono svolte al G20 in Brasile nel 2024, lo dimostrano. Il motivo è semplice: le somme accumulate dai più ricchi negli ultimi decenni sono gigantesche.

Chi pensa che si tratti di una questione secondaria dovrebbe dare un’occhiata alle cifre: in Francia i cinquecento patrimoni più grandi sono aumentati di mille miliardi di euro dal 2010 a oggi, passando da duecento a 1.200 miliardi. Basterebbe una tassa eccezionale del 10 per cento su questo arricchimento di mille miliardi per realizzare cento miliardi di euro di entrate, pari alla totalità dei tagli di bilancio previsti dal governo per i prossimi tre anni. Una tassa eccezionale del 20 per cento, che rimarrebbe moderata, produrrebbe entrate per duecento miliardi e permetterebbe altrettante spese supplementari. Eppure alcuni continuano a non voler fare questo dibattito, con argomentazioni che vanno confutate.

Un’argomentazione usata contro le tasse ai miliardari è che sarebbero illegittime. Niente di nuovo: i potenti hanno sempre usato il linguaggio del diritto per tutelare i loro interessi

La prima è che queste immense fortune private corrispondono a delle semplici voci di bilancio, e che non esistono nella realtà. È vero: si tratta di voci contabili registrate su dei computer, come il debito pubblico, i salari versati sui conti bancari, eccetera. Però queste voci di bilancio hanno un impatto reale sulla vita di tutti e sui rapporti di forza tra le diverse classi sociali e il potere pubblico.

Concretamente, come farebbero i miliardari a pagare questa tassa del 10 per cento sull’arricchimento? Se i profitti realizzati nel corso dell’anno non bastano, allora dovrebbero vendere una parte delle azioni, diciamo il 10 per cento. Se questo pone il problema di trovare dei compratori, allora lo stato potrebbe tranquillamente accettare i titoli come pagamento dell’imposta. Quando sarà necessario, li metterà in vendita usando la procedura più opportuna, per esempio consentendo ai dipendenti dell’azienda di comprare le azioni, rafforzando così la loro partecipazione nelle imprese. In ogni caso, il debito pubblico netto si ridurrebbe.

La seconda argomentazione è che gli stati moderni sono troppo deboli per imporre qualsiasi cosa ai miliardari. Con la globalizzazione e la libera circolazione dei capitali, i ricchi possono fuggire verso giurisdizioni a loro più favorevoli, mandando in fumo le entrate attese. Questa che a molti sembra una valida obiezione in realtà è ipocrita. Prima di tutto perché sono gli stati ad aver istituito la libera circolazione dei capitali. In secondo luogo perché questa argomentazione equivale a una rinuncia alla sovranità, difesa da politici che invocano il ritorno dell’autorità statale ma che trovano più facile esercitarla sui poveri.

Infine questo discorso dimentica che gli stati hanno dei margini di manovra. Quando gli Stati Uniti hanno minacciato di ritirare le licenze alle banche svizzere, Berna ha messo fine al segreto bancario. Oltreoceano i contribuenti sono tassati in base alla loro nazionalità, anche se lasciano il paese. E se rinunciano al loro passaporto, assumendosi dei rischi, lo stato può continuare a tassarli, visto che si sono arricchiti negli Stati Uniti.

La Francia è un paese più piccolo, ma ha strumenti di pressione importanti. Potrebbe imporre la tassa sull’arricchimento in funzione del numero di anni passati sul suo territorio. Così un contribuente residente da un anno in Svizzera dopo cinquant’anni trascorsi in Francia continuerebbe a pagare cinquanta cinquantunesimi dell’imposta (il 98 per cento) dovuta da un residente francese.

L’ultima argomentazione usata contro le tasse ai miliardari è che sarebbero contrarie al diritto. Niente di nuovo: i potenti hanno sempre usato il linguaggio del diritto per tutelare i loro interessi. Eppure la costituzione francese, per esempio, non vieta di tassare i patrimoni, che sono un indicatore efficace per valutare la capacità contributiva dei cittadini, almeno quanto i redditi. Del resto è questo il motivo per cui in Francia nel 1789 fu introdotto un sistema di diritti di successione e di tassazione fondiaria (del tutto indipendente dai redditi) e nel 1945 fu applicata un’imposta eccezionale sull’arricchimento. Il fatto che alcuni giudici costituzionali cerchino di usare la loro funzione per imporre le proprie preferenze di parte non cambia nulla: è un dibattito politico, non giuridico.

Ci sono altre soluzioni, come la tassa proposta dal primo ministro francese Michel Barnier sui redditi superiori ai cinquecentomila euro. Questa misura, però, produrrebbe due miliardi di entrate invece dei cento che deriverebbero dalla tassa del 10 per cento sulla ricchezza dei miliardari. Risultato: saranno soprattutto i più poveri, dato che lo stato incasserà di meno, a fare le spese della misura di Barnier. Una strategia di questo tipo ci farà sbattere contro un muro: non si possono affrontare le sfide sociali e climatiche se non si tassano i più ricchi. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati