Il mondo meritava un Nobel per la pace nel 2024? O era meglio marcare quest’anno con un grande buco nero, simbolo della mancanza di prospettive per un pianeta dominato da guerre senza fine e dalla violazione di tutte le regole? Sarebbe stata una possibilità. Gli hibakusha, i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, non saranno mai onorati abbastanza. Le loro sofferenze, la forza delle loro testimonianze, la loro lotta per l’abbandono di qualsiasi arma di distruzione di massa meritano rispetto assoluto. Mentre all’orizzonte si addensano oscure minacce nucleari, il “tabù” sull’uso di un’arma atomica non dev’essere infranto.

Ma era questo che si doveva sottolineare quest’anno? Per un Medio Oriente sull’orlo di una guerra totale erano in lizza tre candidati delle Nazioni Unite: l’Agenzia per i rifugiati palestinesi (Unrwa), la Corte internazionale di giustizia, che lancia allarmi sui rischi di genocidio a Gaza, e il segretario generale dell’Onu, António Guterres. Tutti e tre definiti “antisemiti” da Israele e da chi sostiene gli interessi del governo di Benyamin Netanyahu.

Era opportuno che il comitato del Nobel s’inserisse in questa battaglia? Il problema è che il “dibattito” è così polarizzato e violento da non lasciare più spazio per intervenire senza dare l’impressione di schierarsi. Le regole del diritto sono sistematicamente violate, migliaia di persone muoiono, ma nessuno è autorizzato a intervenire. Forse è questa la lezione del Nobel. La Nihon Hidankyō ha tracciato un parallelo tra il Giappone bombardato di ottant’anni fa e l’orrore di Gaza. La stessa disperazione, le immagini di bambini insanguinati tra le braccia di genitori impotenti. La giuria del Nobel non ha osato fare di Gaza l’emblema dell’impotenza causata dai rapporti di forza politici e militari. Gli hibakusha, invece, sono legittimati a farlo. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati