Quando li ha visti schierati al posto di blocco, Marie ha capito che la situazione avrebbe preso una brutta piega. I quattro agenti, con indosso la divisa mimetica verde della guardia nazionale tunisina, le hanno chiesto di aprire la borsa.
“Non c’era niente, solo vestiti”, dice Marie, che era in viaggio da settimane. Aveva attraversato il deserto del Sahara percorrendo più di 4.800 chilometri. Nel maggio di quest’anno era quasi arrivata alla sua destinazione finale – la costa settentrionale dell’Africa – ma ha temuto di non farcela. Un agente armato le ha messo le mani addosso. Un altro l’ha afferrata da dietro, sollevandola da terra. La donna, 22 anni, ha subìto un’aggressione sessuale in pieno giorno in mezzo a una strada della periferia di Sfax, in Tunisia.
“Era chiaro che volevano stuprarmi”, racconta con voce tremante la giovane ivoriana. Ma le sue urla l’hanno salvata: hanno attirato l’attenzione di un gruppo di profughi sudanesi che stava passando in quel momento e i suoi aggressori si sono ritirati in un’auto della polizia.
Marie sa di essere stata fortunata. Secondo Yasmine, la fondatrice di un’organizzazione che si occupa di diritto alla salute a Sfax, nell’ultimo anno e mezzo centinaia di migranti originarie dell’Africa subsahariana sono state violentate dalle forze di sicurezza tunisine. “Abbiamo avuto a che fare con un gran numero di stupri violenti e torture compiute da poliziotti”, racconta.
Anche Marie, originaria di Abidjan, in Costa d’Avorio, conosce altre donne che le hanno parlato di stupri commessi dagli agenti della guardia nazionale tunisina: “Succede a molte. Poi ci rubano tutte le nostre cose”.
Dopo l’aggressione Marie si è unita a un accampamento di fortuna nato tra gli uliveti intorno a El Amra, una cittadina a nord di Sfax. Alcuni esperti di migrazioni affermano che in quell’area decine di migliaia di rifugiati e migranti subsahariani vivono in condizioni “orribili”, circondati dalla polizia. L’accesso al campo è vietato alle organizzazioni umanitarie e perfino alle Nazioni Unite.
Quello che è successo a Marie ha una rilevanza che va oltre il continente africano: i suoi aggressori appartengono a una forza armata finanziata direttamente dall’Europa. La testimonianza di Marie e altre raccolte per questa inchiesta rivelano che l’Unione europea sta finanziando un corpo armato responsabile di violenze sessuali generalizzate contro donne vulnerabili.
È l’accusa più grave rivolta finora al discusso accordo tra Bruxelles e Tunisi per impedire ai migranti di raggiungere l’Europa. Il 16 luglio 2023 l’Unione ha offerto 105 milioni di euro di finanziamenti al governo di Tunisi perché controlli le sue frontiere. Una parte importante di questi soldi, secondo alcuni documenti interni del Consiglio dell’Unione europea, è destinata alla guardia nazionale tunisina. L’intesa ha anche l’obiettivo di combattere il traffico di esseri umani. Ma secondo i risultati di questa inchiesta in Tunisia gli agenti della guardia nazionale spesso sono complici dei trafficanti e li aiutano a organizzare le traversate.
L’accordo tra Tunisi e Bruxelles impegna le due parti al “rispetto dei diritti umani”, ma dai racconti di trafficanti e migranti emerge che la guardia nazionale deruba e picchia sistematicamente donne e bambini, abbandonandoli nel deserto senza viveri né acqua.
Alcune fonti a Bruxelles ammettono che l’Unione è “a conoscenza” delle accuse rivolte alle forze di sicurezza tunisine, ma chiude un occhio nel disperato tentativo – guidato dall’Italia – di far gestire a paesi esterni all’Unione il controllo della frontiera meridionale dell’Europa.
Il numero di rifugiati e migranti nei dintorni di El Amra è in costante aumento. Secondo un osservatore a Sfax, che si occupa di migrazioni, ci vivono almeno centomila persone. L’autoritario presidente tunisino Kais Saied le starebbe deliberatamente trattenendo per minacciare l’Europa. “Se l’Europa smetterà di inviare denaro, lui le lascerà partire”, spiega l’esperto, che ha chiesto di mantenere l’anonimato.
Questo spinge a chiedersi fino a che punto l’Europa sia disposta a tollerare le violazioni dei diritti umani per fermare i flussi migratori e quanti abusi su persone come Marie sia disposta a ignorare.
Nove su dieci
Moussa sentiva già il sapore della libertà. Le luci in mezzo al mare indicavano che stava arrivando la guardia costiera italiana. Ma alle loro spalle si avvicinavano i guardacoste tunisini e i sogni di Moussa si sono infranti.
Ventott’anni, originario di Conakry, in Guinea, era a bordo di una delle quattro imbarcazioni intercettate al largo di Sfax la notte del 6 febbraio 2024. A bordo c’erano circa 150 uomini, donne e bambini, che sono stati riportati a riva, ammanettati e fatti salire su alcuni pullman.
Verso le due di notte sono arrivati a una base della guardia nazionale vicino al confine con l’Algeria. Poco dopo, racconta Moussa, gli agenti delle forze di sicurezza tunisine hanno violentato sistematicamente le donne: “C’era una casetta fuori della base. Più o meno ogni ora prendevano due o tre donne e le portavano là per stuprarle. Ne hanno prese tante. Le sentivamo urlare, chiedere aiuto. Non gli importava che ci fossero un centinaio di testimoni”.
Dopo le violenze alcune riuscivano a malapena a camminare, aggiunge Moussa. Ad altre, una volta tornate, riconsegnavano i neonati. Alcune erano state brutalmente picchiate.
“Hanno colpito una donna incinta finché non ha cominciato a scorrerle del sangue tra le gambe ed è svenuta”, dice a bassa voce Moussa quando lo incontriamo al piano superiore di una caffetteria. I mezzi d’informazione stranieri non sono i benvenuti in città. Fuori del locale una persona fa la guardia per avvertirci se arriva la polizia.
Il racconto di Moussa è confermato dalle organizzazioni locali che lavorano con i migranti subsahariani. “Ci siamo occupate di tantissimi casi di donne stuprate nel deserto”, dice Yasmine, che con la sua associazione aiuta le sopravvissute a riprendersi dai traumi fisici delle violenze.
Secondo la donna, che chiede di restare anonima per non essere arrestata, la loro esperienza mostra che nove su dieci delle donne africane fermate dalle forze di sicurezza a Sfax subiscono violenze sessuali o torture.
Non tornare
In un altro locale nel vivace quartiere di Haffara, il trafficante di esseri umani Youssef racconta di aver assistito a una di quelle aggressioni: “Un giorno all’alba la guardia nazionale si era messa a perquisire le donne in cerca di denaro, ma in realtà le toccavano nelle parti intime. Era una scena violenta”.
Un altro trafficante che trasporta i migranti a Sfax da Kasserine, vicino al confine algerino, racconta di aver incontrato donne aggredite nel deserto. “Spesso prendo a bordo donne in lacrime, che raccontano di essere state stuprate”, dice Khaled, che ha più di mille viaggi alle spalle. Anche i pestaggi sono all’ordine del giorno.
Joseph, un keniano di 21 anni, è stato prelevato dal campo di El Amra nel settembre 2023 in un raid della guardia nazionale. “Siamo stati ammanettati e poi caricati su un pullman. La polizia picchiava tutti con i manganelli: bambini, donne, anziani”. Mostra una cicatrice sopra l’occhio: “Mi hanno colpito molte volte”.
Ad altri è andata peggio: un agente ha sparato un lacrimogeno in faccia a un amico di Joseph. “L’occhio gli era uscito dall’orbita e doveva saltellare perché gli avevano rotto una gamba”.
Joseph è stato abbandonato in un’area di confine con l’Algeria, dove la guardia nazionale gli ha preso denaro, telefono e passaporto. “Dopo avermi picchiato con un bastone, mi hanno detto: ‘Va’ di là e non tornare’”, indicando l’Algeria. Nella confusione il giovane keniano ha perso di vista il suo amico con la gamba rotta. Non l’ha più rivisto.
Nell’accordo sulle migrazioni tra Unione europea e Tunisia è centrale l’obiettivo di smantellare “le reti criminali dei trafficanti”. Bruxelles afferma di voler rafforzare il codice di condotta della polizia tunisina, includendo anche la formazione in materia di diritti umani.
I trafficanti di Sfax, però, affermano che tra loro e la guardia nazionale tunisina i rapporti si basano su una corruzione diffusa e sistematica. “È la guardia nazionale a organizzare le imbarcazioni per le traversate del Mediterraneo. Aspettano che partano poi sequestrano barche e motori, per rivenderli a noi”, racconta Youssef. Spesso, spiega, quando c’è scarsità di motori da duemila euro a Sfax significa che la guardia nazionale è l’unica fornitrice a cui rivolgersi. “I trafficanti chiamano la polizia per sapere se c’è qualche motore disponibile. E può capitare di ricomprare lo stesso motore anche quattro volte dagli agenti”.
Un altro punto dell’accordo insiste sul facilitare le azioni penali contro i trafficanti. A una richiesta di maggiori informazioni al riguardo, la Commissione europea non ha potuto fornire dati sulle condanne, ma ha affermato che la polizia tunisina e l’Europol stanno lavorando a una collaborazione per colpire i trafficanti. L’Europol sostiene di non avere un protocollo operativo con la Tunisia.
Nelle reti
Da lontano sembrava un pallone da calcio, che galleggiava tra le onde al largo di Sfax. Ma era la testa di una persona, con gli occhi divorati dai pesci. Probabilmente era stata staccata dal corpo da una nave di passaggio. Ahmed l’ha ripescata il 15 luglio scorso. Altre volte gli era capitato di trovare delle gambe, occasionalmente delle braccia. Di solito nelle sue reti restano intrappolati corpi interi, spesso di giovani, sempre neri. La stessa mattina i pescatori hanno recuperato un corpo, poi un altro e un altro ancora. Infine un quarto: una giovane donna con i capelli lunghi. Ahmed li ha portati a riva, ma non tutti sono stati identificati. Sono stati seppelliti in tombe anonime con scritto solo “Africano”.
L’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, generalmente registra tutti i nuovi arrivi, un processo “di fondamentale importanza per la loro protezione”. Ma il governo tunisino impedisce ai suoi operatori di lavorare a Sfax. L’agenzia conta dodicimila rifugiati o richiedenti asilo in Tunisia ma, a detta dei suoi funzionari, è solo una “minima parte” dei migranti presenti a El Amra.
Secondo Abdel, il direttore di un’ong di Sfax che si occupa di migranti minorenni, sarebbero almeno centomila.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) non ha dati aggiornati, e questo fa temere che molte persone non siano registrate. “Tante scompaiono come se non fossero mai esistite”, commenta Abdel. E ogni giorno ne arrivano di nuove. In un bar di Sfax pieno di fumo, Ali Amami, della Lega tunisina per i diritti umani, dice: “Vengono qui da ogni parte dell’Africa”.
L’anno scorso la Tunisia – e Sfax in particolare – è stata il principale punto d’imbarco per i migranti che vogliono arrivare in Italia.
Oggi Sfax è inaccessibile. La polizia ha “ripulito” i quartieri abitati dai migranti e li ha costretti a trasferirsi a El Amra. Se una persona migrante ordina un caffè in un bar, i proprietari del locale rischiano l’arresto. Squadroni di poliziotti battono a tappeto quartieri come Haffara, pronti a portare via qualunque migrante trovino in giro.
“Solo le donne hanno il coraggio di uscire a fare la spesa”, dice Mohamed, originario della Guinea. E di coraggio ce ne vuole parecchio. Ad agosto una sua amica incinta di sette mesi era andata in centro a Sfax per comprare da mangiare. A un posto di blocco gli agenti l’hanno presa, rinchiusa in un furgone e portata al confine con l’Algeria. “Per giorni ha implorato di avere acqua”. Il suo corpo è stato ritrovato a metà agosto vicino a Kasserine, con la faccia nella sabbia. Mohamed stima che circa cinquanta suoi amici siano stati sequestrati dalla guardia nazionale a Sfax e portati nel deserto. Tra loro, cinque sono dispersi o sono stati trovati morti. Altri dieci hanno attraversato il confine con l’Algeria.
Anche se le condizioni nel deserto sono terribili, per molti sono preferibili a quelle di El Amra. L’inasprimento dei controlli, alimentato dalle invettive di Saied contro i migranti, ha portato alla chiusura delle associazioni che gli offrono sostegno. I loro operatori sono stati interrogati o arrestati. Yasmine ha dovuto chiudere la sua organizzazione a luglio dopo le intimidazioni della polizia. Inoltre, su Facebook sono state pubblicate le foto di alcuni suoi colleghi, denunciati per il loro aiuto ai migranti. “Per giorni non siamo potuti uscire di casa”, racconta.
I trafficanti di Sfax affermano che tra loro e la guardia nazionale tunisina i rapporti si basano su una corruzione diffusa e sistematica
Questo significa che al campo non arrivano più acqua né viveri. “Mangiano animali morti o investiti dalle auto, quello che trovano”, dice Youssef, il trafficante.
Senza accesso alle cure sanitarie, spiega Yasmine, tra le persone si diffondono malattie come la tubercolosi, l’aids, la scabbia e la sifilide. E cresce in maniera preoccupante la mortalità infantile. “Con temperature intorno ai 40 gradi, i bambini nascono senza assistenza medica, vaccini né cibo. Come possono sopravvivere?”.
“Ho visto donne partorire tra i cespugli”, racconta Youssef. “Dovrebbero andare in ospedale, e invece muoiono”.
A El Amra si vedono ovunque sepolture anonime, continua Youssef. Un contadino che ha un uliveto racconta di aver trovato di recente due cadaveri in una fossa poco profonda.
Anche l’altro trafficante, Khaled, è preoccupato dal numero delle vittime. Una volta la sua auto è stata inseguita dalla polizia. Sul sedile posteriore viaggiava una donna in avanzato stato di gravidanza che continuava a lamentarsi.
“Arrivati a Sfax alla fine mi sono girato e ho visto che c’era un bambino! Sono scoppiato a piangere”. Poi ha visto la madre mettere il neonato in un sacchetto della spesa e avviarsi a piedi verso El Amra mentre fuori c’erano 35 gradi.
Altre persone muoiono attraversando il Mediterraneo. Ufficialmente più di trentamila migranti sono morti o dispersi in mare nell’ultimo decennio. Ma per molti osservatori la cifra è ampiamente sottostimata.
Pochi conoscono meglio di Youssef i rischi di questa rotta: le imbarcazioni diventano più pericolose e portano un numero di persone sempre più alto. Molte sono costruite frettolosamente a partire da pezzi di metallo e galleggiano con i bordi pochi centimetri sopra la superficie dell’acqua.
“Sono sufficienti per dieci persone, ma ne trasportano cinquanta. Dalla mia esperienza di trafficante so che ne muoiono molti di più di quelli che ce la fanno”, dice Youssef.
Trappola per topi
A Sfax la chiamano “trappola per topi”. Con Abdel ne parliamo nel suo ufficio vicino alla medina: “Tu fai arrivare il topo vicino al confine, ma gli impedisci di prendere il mare. Se i migranti restano intrappolati, il loro numero cresce vertiginosamente”.
Usando navi di pattugliamento fornite dall’Europa, la guardia costiera tunisina quest’anno ha impedito a più di 50mila persone di attraversare il Mediterraneo. “La Tunisia è pagata per diventare la guardia costiera dell’Europa”, dice Amami, della Lega per i diritti umani.
È un ruolo redditizio, a quanto pare anche per il suo presidente. Secondo le denunce di un gruppo di deputati della commissione giustizia del Parlamento europeo, i circa 150 milioni di euro previsti dall’accordo sulla migrazione e lo sviluppo tunisino sarebbero stati versati direttamente a Saied. In risposta a una richiesta di chiarimenti, la Commissione europea ha dichiarato che il pagamento è avvenuto in seguito alla verifica del rispetto tunisino delle “condizioni reciprocamente concordate”.
Alcuni chiedono anche perché l’Unione non abbia commissionato una valutazione degli effetti sui diritti umani prima dell’annuncio dell’accordo. E perché questo non sia stato sottoposto all’esame del parlamento europeo.
Secondo la mediatrice europea Emily O’Reilly è impensabile che Bruxelles non fosse a conoscenza dei ripetuti abusi sui migranti di cui è responsabile la polizia tunisina. Eppure non è stato fatto nessun chiaro tentativo di sospendere i pagamenti a Tunisi (il 21 ottobre, in conclusione di una sua indagine, O’Reilly ha invitato la Commissione a pubblicare la valutazione delle conseguenze sui diritti umani che aveva commissionato prima di firmare il memorandum d’intesa con la Tunisia, ma l’esecutivo europeo non vuole renderla pubblica).
Sugli abusi della guardia nazionale tunisina, un portavoce della Commissione europea ha dichiarato: “L’impegno dell’Unione continua a essere quello di migliorare la situazione sul campo”.
Alcuni documenti del Consiglio europeo rivelano che i pagamenti alla guardia nazionale sono già stati fatti. Un piano d’azione pubblicato nel dicembre 2023 indica che 25 milioni di euro sono stati “consegnati” per motovedette, addestramento ed equipaggiamento alla guardia costiera nazionale.
Stando ad alcune fonti, sembra che l’Unione europea si stia già preparando ad aumentare il finanziamento alle forze di sicurezza tunisine, portandolo fino a 165 milioni di euro nei prossimi tre anni.
Tunisi ha respinto le rivelazioni del Guardian definendole “false e infondate”, e dichiarando che le forze di sicurezza operano con “professionalità per tutelare lo stato di diritto nel territorio, nel pieno rispetto dei princìpi e degli standard internazionali”.
In un comunicato si dichiara che le autorità tunisine “hanno fatto tutto il possibile” per soddisfare i bisogni essenziali dei migranti, combattere le reti criminali che “sfruttano le vulnerabilità” delle persone e combattere la migrazione irregolare nel rispetto delle leggi internazionali in materia di diritti umani.
Nonostante tutto questo, l’accordo tra Bruxelles e la Tunisia continua a essere considerato in Europa un modello per la gestione delle migrazioni, una questione rilevante alla luce dell’ascesa dei partiti di estrema destra.
Accordi simili sono già stati siglati anche con la Mauritania e l’Egitto. E si prevede che ne seguiranno altri.
Il sogno di Marie resta l’Europa, ma sta diventando inafferrabile. In un messaggio vocale da El Amra aveva la voce terrorizzata: “Stanno succedendo molte cose qui. Ho molta paura, siamo intrappolati in un inferno”. ◆ fdl
Questo articolo è stato realizzato da un reporter del Guardian, che ha preferito rimanere anonimo. I nomi delle persone citate nell’articolo sono stati modificati per ragioni di sicurezza.
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Questo articolo è uscito sul numero 1588 di Internazionale, a pagina 52. Compra questo numero | Abbonati