Clint Eastwood è una figura così familiare e potente nel cinema americano, e da così tanto tempo, che si potrebbe pensare di averlo compreso a fondo. E invece, a 94 anni, con il suo 42° film, riesce ancora a colpire: un’asciutta e risoluta resa dei conti sulla legge, la morale, lo stato del paese e, possiamo immaginare, su cosa ne pensa di tutto questo. Sembra quasi irritato a giudicare dalla rabbia che ribolle in un film concentrato sulla difficoltà di trovare giustizia dentro – o forse nonostante – un sistema imperfetto. In ansia per la gravidanza complicata della moglie, Justin (Hoult) fa parte di una giuria in un processo per omicidio, scoprendo che il vero assassino (inconsapevole) potrebbe essere lui. Eastwood non prende mai una posizione netta sulla vicenda, mettendoci al livello degli stessi giurati. Il regista ha affrontato il tema dell’ingiustizia già in Changeling e in Richard Jewell, ma Giurato numero 2 è di gran lunga più potente di tutti e due quei film messi insieme.
Manohla Dargis, The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1589 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati