Il settimo album in studio di Lady Gaga è stato, secondo la stessa cantante, fortemente influenzato dalla musica dance industrial, suggerendo un ritorno allo stile di The fame monster e Born this way. Il singolo di lancio, Disease, mantiene quella promessa, con un ritmo meccanico e una linea di basso pulsante, perfetta per sostenere la performance esplosiva di Gaga. Oltre a questo pezzo e al successivo Abracadabra, però, Mayhem si sposta quasi interamente sul synth-pop anni 0ttanta, specialmente nella sua parte centrale. Dal groove di Killah, dal sapore bowiano, a Zombieboy, un omaggio al modello canadese Rick Genest (apparso nel video di Born this way), il disco sembra tradire le aspettative. Brani come Garden of Eden, prodotto insieme a Gesaffelstein, cercano di resuscitare l’attitudine da party-girl che aveva lanciato Gaga ai tempi di The fame, ma con risultati incerti. Perfect celebrity affronta il tema della disumanizzazione delle pop star, un argomento interessante che però risulta banale per un’artista che ha costruito la sua carriera sulla celebrazione della fama. Va meglio con How bad do u want me, che sfiora la perfezione esplorando il conflitto tra il pubblico e il privato. Allo stesso modo The beast rievoca Taylor Dayne e Michael Jackson, ma senza mordente, mentre Blade of grass aspira alla potenza di una ballata epica, fallendo dove invece riesce il duetto con Bruno Mars, Die with a smile. Mayhem non è un disastro, ma ha un solo, grande peccato: è noioso.
Alexa Camp, Slant

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Questo articolo è uscito sul numero 1605 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati