
Molti paesi stanno cercando di frenare le importazioni di auto elettriche cinesi, in particolare il costruttore Byd, introducendo forti dazi. È il caso degli Stati Uniti, dove sotto l’amministrazione del democratico Joe Biden erano state imposte tariffe del 100 per cento. C’è però un paese, scrive il Washington Post, che su questo fronte va controcorrente: l’Australia. Non avendo un’industria automobilistica locale da proteggere, spiega il quotidiano statunitense, non ha messo dazi e quindi le auto elettriche cinesi “all’improvviso sono comparse dappertutto. Oggi costituiscono un terzo dei veicoli elettrici venduti in Australia. Ma si arriva a due terzi se si contano le Tesla fabbricate in Cina”. Nel 2024, in particolare, le vendite della Byd sono aumentate del 65 per cento e, visto che secondo le previsioni quest’anno dovrebbero raddoppiare, l’azienda cinese è destinata a superare la Tesla come leader di mercato nel paese. Il successo cinese, tuttavia, ha messo in difficoltà il governo di Canberra, che condivide una rete per lo scambio di informazioni d’intelligence con gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda, il Regno Unito e il Canada. Da tempo i paesi alleati mettono in guardia l’Australia sui rischi per la sicurezza nazionale rappresentati dai veicoli cinesi connessi alla rete. Il dipartimento degli affari interni australiano, che è responsabile della cibersicurezza, ha dichiarato che “sta seguendo attentamente gli sviluppi negli Stati Uniti” per capire le possibili conseguenze del problema. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1605 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati