
Un’amicizia accogliente come una capanna di legno, un posto dove rifugiarsi per essere se stessi: un bambino di dieci anni che legge Tintin senza sosta e che gioca a spaventarsi annotando i drammi del mondo in un “quaderno dei disastri”. Un bambino che si sente molto in imbarazzo quando gli capita per la prima volta tra le mani una rivista pornografica, ma intuisce i gesti del risveglio sessuale nel dormiveglia di un pomeriggio afoso. Appollaiati sul loro pino durante l’estate del 1986, Steve, il narratore di Amianto, il primo romanzo del canadese Sébastien Dulude, e Charlélie, detto “il piccolo Poulin”, il suo amico inseparabile, sfuggono alla già scarsa supervisione degli adulti. Il primo cerca scampo dalla violenza del padre e dai codici di una mascolinità tossica come l’amianto di cui vive e muore la città di Thetford Mines. Quella virilità che suo padre, un “minatore-camionista”, vuole instillargli a tutti i costi. La gioiosa tranquillità che regna nella famiglia del “piccolo Poulin” è un motivo in più per amarlo. Le giornate estive che i due trascorrono correndo tra le dompes (cumuli di scorie) e il loro rifugio sugli alberi sembrano non finire mai. Questa impressione è rafforzata dal racconto che ne fa Steve nel corso della prima parte del romanzo, in un tempo imperfetto che dovrebbe dare l’illusione dell’eternità e in una successione di salti temporali avanti e indietro nel corso dei due anni in cui dura quest’amicizia. Questo movimento costante del testo cerca di restituire tutte le dimensioni del loro legame, di far rivivere intensamente ogni sensazione vissuta insieme. Sébastien Dulude, poeta ed editore nato nel 1976 nel Québec e cresciuto a Thetford Mines, sembra aver fatto della dicotomia il principio portante del suo romanzo. La narrazione si basa sull’opposizione tra l’aridità dei paesaggi minerari e la bellezza naturale dei dintorni, tra la dolcezza del legame tra i bambini e la violenza domestica in cui è immerso Steve, tra la brutalità di una realtà sociale descritta in filigrana con l’annunciata chiusura delle miniere e la sensibilità dello sguardo infantile. Queste tensioni opposte alimentano la scrittura di Dulude e questo romanzo di struggente bellezza sui ricordi d’infanzia, su ciò che fanno a noi e su ciò che noi ne facciamo. Raphaëlle Leyris, Le Monde
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Questo articolo è uscito sul numero 1606 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati