L’attacco dell’amministrazione Trump alla transizione ecologica è di una violenza inaudita. La lista è lunga: impegno a riaprire le centrali a carbone, agevolazioni per la produzione di petrolio e gas, ostacoli per le energie rinnovabili, offensiva contro i veicoli elettrici, procedure per smantellare le norme per la tutela ambientale, uscita dall’accordo di Parigi sul clima. L’attacco passa anche dalla demolizione delle conoscenze scientifiche sul clima, attraverso licenziamenti a tappeto, tagli al bilancio, congelamento dei programmi e divieto ai ricercatori di partecipare ai congressi.
Gli Stati Uniti, primi produttori di petrolio e al secondo posto nel mondo per le emissioni di gas serra, ostacolano la battaglia contro il riscaldamento climatico in un momento in cui le possibilità di mantenere gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi si stanno esaurendo. Non solo Washington non rispetterà gli impegni presi per il 2030, ma sta frenando la transizione nei paesi in via di sviluppo sospendendo gli aiuti e favorendo i negazionisti. Le guerre in Ucraina e a Gaza, le tensioni sul prezzo dell’energia e l’austerità hanno indebolito il multilateralismo, anche sul clima. In molti paesi l’ambientalismo è diventato impopolare e le norme che ha ispirato sono state contestate.
Ora che l’Unione europea cerca di rafforzare la sua sovranità, relegare la causa ambientalista in secondo piano sarebbe un grave errore. Gli investimenti nell’autonomia energetica consentirebbero di ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti. In ogni angolo del pianeta si ripetono eventi climatici estremi che mettono in pericolo la vita e il benessere delle persone. Sono la dimostrazione che la sicurezza in Europa, se non sarà anche climatica, sarà impossibile. Invece di arrendersi davanti agli ostacoli, i leader europei devono cercare di superarli. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1606 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati