Di questi tempi la corsa agli Oscar comincia a Venezia. Lo dimostra il fatto che quattro degli ultimi dieci lavori premiati come miglior film a Los Angeles erano stati proiettati in anteprima nella laguna. Tra i più recenti c’è Nomadland di Chloé Zhao, uscito nel 2020, che ha vinto anche il Leone d’oro, diventando il secondo film dopo La forma dell’acqua di Guillermo del Toro (2017) a conquistare la doppietta.

Per il festival italiano, che quest’anno si è aperto il 28 agosto e si concluderà il 7 settembre, si tratta di una svolta importante dopo che all’inizio del millennio l’evento aveva perso prestigio a livello internazionale. Gran parte del merito di questo miglioramento spetta al direttore artistico Alberto Barbera.

Corte serrata

Nel 2012, quando Barbera ha ricevuto l’incarico, il festival faticava ad attirare i grandi film hollywoodiani. “Era molto più facile portarli a Toronto, spendendo meno e avviando una promozione incentrata sul mercato interno”, spiega Barbera riferendosi alla rassegna canadese, che si svolge all’inizio di settembre. “Ma per Venezia rinunciare alla presenza degli studi di Hollywood era un rischio”, aggiunge, sicuro che se le grandi case di produzione avessero definitivamente voltato le spalle al festival si sarebbe innescato un meccanismo disastroso.

Così il direttore convinse la Biennale di Venezia, istituzione che gestisce la Mostra del cinema, a rinnovare le sale e le strutture, ormai vecchie di decenni. Inoltre prese l’abitudine di volare a Los Angeles più o meno due volte all’anno per corteggiare i vertici degli studi e delle case di produzione indipendenti.

Già nella seconda estate da direttore artistico, Barbera cominciò a raccogliere i frutti di questo sforzo. La 70a edizione si aprì con la proiezione di Gravity di Alfonso Cuarón, con Sandra Bullock e George Clooney.

“Nella sede della Warner Bros non erano sicuri che il film potesse essere un successo commerciale”, racconta. Alla fine Gravity ottenne recensioni entusiastiche e incassò più di 700 milioni di dollari, mentre Cuarón vinse l’Oscar come miglior regista. Era esattamente quello che aveva sperato Barbera.

Venezia, agosto 2023 (Pascal Le Segretain, Getty)

Da allora ogni anno grandi film statunitensi con le carte in regola per aspirare al premio Oscar sono stati presentati in anteprima al lido. Della lista fanno parte La la land (2016), A star is born (2018), Joker (2019) e Dune (2021), insieme a grandi successi del cinema indipendente come Il caso Spotlight (2015) e Tár (2022).

Un anno dopo Gravity ad aprire il festival fu Birdman di Alejandro G. Iñárritu, poi vincitore dell’Academy award come miglior film nel 2015. “È stato in quel momento che il festival è diventato una sorta di rampa di lancio per gli Oscar”, spiega Guy Lodge, critico cinematografico di Variety. Secondo Lodge il festival di Venezia, che aveva bisogno “di un’iniezione di energia e di una nuova identità”, era nella posizione ideale per beneficiare di “un’alleanza” con i film candidati agli Oscar, un approccio che all’epoca era relativamente nuovo. “Penso che i distributori e gli strateghi di Hollywood abbiano cominciato a capire che la Mostra era uno strumento ideale per lanciare le pellicole da Oscar. Come periodo dell’anno non era né troppo presto né troppo tardi: i film avevano il tempo per farsi apprezzare a Venezia e poi prendere slancio nei mesi autunnali e invernali”.

Oltre ai titoli delle grandi produzioni, anche i film indipendenti hanno tratto vantaggi dai riflettori veneziani. Lodge sottolinea l’esempio di Nomadland, che è stato sicuramente aiutato dalla vittoria in Italia. “Se fosse stato presentato al Sundance festival – ed è chiaramente un film da Sundance – credo che Nomadland non avrebbe retto. Venezia gli ha dato una patina di prestigio”, spiega.

Lo status ritrovato del festival ha fatto aumentare la sua resistenza alle recenti difficoltà del settore. I responsabili della Mostra del cinema, per esempio, sono riusciti a organizzare la 77a edizione in tutta sicurezza nonostante la pandemia di covid-19, che era scoppiata sei mesi prima. E l’anno scorso hanno presentato un programma robusto mentre Holly­wood era paralizzata dagli scioperi di attori e sceneggiatori. Tra i film in concorso c’erano le opere di Sofia Coppola, Ava DuVernay, Michael Mann e Yorgos Lanthimos, che con Povere creature! ha anche vinto il Leone d’oro.

“Abbiamo deciso di distribuire il film negli Stati Uniti a partire dalla fine dell’anno. Prima siamo andati a Venezia sperando che gli scioperi si sarebbero fermati”, racconta il produttore Ed Guiney dal set nei dintorni di Londra del nuovo film di Lanthimos, Bugonia. “Per noi ha funzionato perché abbiamo ricevuto molta attenzione a Venezia, con la vittoria del Leone d’oro e ottime recensioni, e questo anche senza portare nessuno del cast”, spiega Guiney. “Il festival ci ha dato slancio fino a quando il cast ha potuto unirsi alla promozione negli Stati Uniti”.

Stelle e promesse

Povere creature! è stato il secondo film di fila presentato da Lanthimos a Venezia dopo La favorita (2018). Conquistato il Leone d’oro, ha vinto quattro Oscar (su undici nomination), tra cui quello per la migliore attrice a Emma Stone, una delle decine di stelle che non si erano presentate sul tappeto rosso di Venezia a causa dello sciopero.

“Ero solidale con gli attori e gli autori in sciopero, ma ho molto rispetto per i registi che non hanno ritirato i loro film dalla Mostra anche se non c’erano le star”, dice Laura Poitras, che nel 2022 ha vinto il Leone con il documentario Tutta la bellezza e il dolore. Anche se il programma della mostra è rimasto di fatto invariato – Challengers di Luca Guadagnino è stata l’unica grande produzione a ritirarsi – Poitras ribadisce che “l’impatto dello sciopero è stato forte”. “Non è stato possibile celebrare gli attori”, precisa la regista che definisce “straziante” l’assenza di Emma Stone, protagonista ma anche produttrice di Povere creature!

Il programma di quest’anno include film con cast stellari, tra cui Joker: folie à deux, con Lady Gaga e Joaquin Phoenix, e La stanza accanto di Pedro Almodóvar, con Tilda Swinton e Julianne Moore. Ma Barbera ci tiene a sottolineare che più di metà delle pellicole in concorso è opera di registi che non erano mai stati invitati al festival. “Ci sono molte sorprese”, promette il direttore.

A prescindere da quanti film papabili per gli Oscar debutteranno alla Mostra, Barbera si ritiene “particolarmente soddisfatto” dalla selezione di quest’anno. “Lo scopo del festival è scoprire talenti ed esplorare i limiti del cinema contemporaneo, trovando nuove espressioni e nuove voci”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1578 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati