Tre anni dopo il colpo di stato militare che il 1 febbraio 2021 ha deposto il governo eletto della Birmania, il paese è devastato da una violenta guerra civile. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato a dicembre, il paese “si trova sull’orlo di una profonda crisi umanitaria”, che secondo le stime riguarda un terzo della popolazione (circa 18 milioni di persone). Aung San Suu Kyi, leader del governo rovesciato dal golpe, sta scontando una condanna a 27 anni di carcere per accuse che includono la violazione delle misure contro la pandemia, l’importazione clandestina di walkie-talkie, il noleggio di un elicottero, la violazione della legge sui segreti di stato e brogli elettorali.

Nonostante il quadro piuttosto cupo, dopo alcuni recenti successi sul campo l’opposizione confida di poter volgere la guerra a proprio favore, mentre l’esercito sembra in difficoltà. La vittoria, tuttavia, non è scontata. La giunta controlla le leve del governo, le città principali e la maggior parte di quelle più grandi. I governi democratici di tutto il mondo, che potrebbero accelerare la fine del conflitto aiutando le forze d’opposizione e i gruppi etnici più progressisti, hanno fatto finora molto poco. Purtroppo, al di là dei possibili progressi militari dell’opposizione, i 55 milioni di abitanti della Birmania continueranno a pagare le conseguenze più gravi di questo conflitto ancora per anni.

A differenza di altre nazioni, la Birmania non si è ancora ripresa dalle difficoltà legate alla pandemia. Si stima che il volume dell’economia sia inferiore del 30 per cento rispetto al livello che avrebbe raggiunto se non ci fossero stati il covid-19 e il golpe, mentre il pil pro capite è inferiore del 13 per cento rispetto al 2019.

Le conseguenze si fanno sentire sull’intera società, dall’istruzione alla sanità, dai mezzi d’informazione alle organizzazioni della società civile alle aziende tecnologiche. Gli investitori esteri hanno lasciato il paese, solo poche aziende straniere danno ancora lavoro ai birmani, ma in molti casi fanno affari con la giunta e, pagando le tasse, contribuiscono ad aiutare l’esercito.

Oggi i birmani sono più poveri e vulnerabili, hanno un minore accesso all’istruzione e ai servizi sanitari e meno opportunità di migliorare la loro condizione economica. Tanti giovani hanno abbandonato gli studi e il lavoro per combattere contro l’esercito o stanno cercando un modo per andarsene, in Thailandia e in altri paesi vicini piuttosto riluttanti ad accogliere i nuovi immigrati.

Offensiva d’ottobre

Dopo tre anni di sostanziale stallo, negli ultimi mesi ci sono stati degli sviluppi sul campo di battaglia e la giunta ha subìto delle pesanti sconfitte. A ottobre alcune forze d’opposizione, unite nell’Alleanza delle tre fratellanze, hanno conquistato due città di confine nello stato Shan travolgendo centinaia di postazioni e basi militari. L’offensiva è stata accompagnata da attacchi contro l’esercito lanciati dalle forze di resistenza kerenni e karen nella Birmania orientale. E nella regione centrale del Sagaing la Forza di difesa del popolo, braccio armato del governo di unità nazionale formato dall’opposizione in esilio, ha conquistato la città di Kawlin. A metà novembre, poi, l’esercito arakan, parte dell’Alleanza, ha interrotto il cessate il fuoco che durava da un anno nello stato occidentale del Rakhine, conquistando avamposti della polizia di frontiera e attaccando le forze del regime in quattro importanti centri urbani. Questi attacchi hanno costretto alla fuga decine di migliaia di persone.

L’esercito birmano ha usato il suo enorme vantaggio aereo per bombardare indiscriminatamente civili e ribelli. Le forze d’opposizione, però, stanno cominciando a vincere delle battaglie grazie all’uso dei droni, meno costosi. L’annuncio a metà gennaio di un cessate il fuoco mediato dalla Cina tra l’esercito e l’Alleanza delle tre fratellanze ha messo in evidenza i successi delle opposizioni e le difficoltà dei militari, anche se la Cina sta perdendo parte della sua influenza nella guerra civile. Anche a causa dell’ascesa di nuove forze militari senza legami con Pechino, come le Forze di difesa del popolo, che ha ulteriormente frammentato il campo di battaglia.

Ora bisogna capire se l’Associazione delle nazioni del sudest asiatico (Asean), l’organismo più importante della regione, sosterrà con maggiore decisione le forze democratiche birmane, rendendosi conto che con i golpisti al governo la ricostruzione della società birmana sarà rinviata destabilizzando ancora di più la regione.

Considerando le imminenti elezioni in Indonesia, il nuovo governo in Thailandia e la crescente insoddisfazione di Singapore, Malaysia e Filippine per la situazione in Birmania, i successi militari delle forze d’opposizione potrebbero rendere più attiva la diplomazia nel sudest asiatico. Potrebbero cambiare anche le valutazioni strategiche dei governi occidentali, se ci fossero segnali di una via non troppo onerosa per la vittoria dell’opposizione.

La giunta inoltre è sotto pressione perché la Corte internazionale di giustizia ha avviato un procedimento in cui l’esercito birmano è accusato di genocidio per il trattamento riservato alla minoranza musulmana dei rohingya. Alla fine i generali golpisti potrebbero cercare qualche compromesso, soprattutto se ci saranno fratture all’interno dell’esercito. Non è tuttavia chiaro se i leader democratici e gli eserciti delle minoranze etniche tollereranno di nuovo il coinvolgimento di chi, tre anni fa, ha scatenato un colpo di stato così insensato e devastante. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1549 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati