Nel marzo 2014 i paesi occidentali pubblicarono i primi elenchi di sanzioni contro decine di funzionari russi coinvolti nell’annessione illegale della Crimea. Quella mossa, tuttavia, non riuscì a far emergere nell’élite russa dirigenti più responsabili e capaci di dissuadere il presidente Vladimir Putin dal commettere nuovi fatali errori. Oggi, con l’emissione di un mandato d’arresto per Putin (accusato, insieme alla commissaria governativa per l’infanzia Maria Lvova-Belova, di crimini di guerra, in particolare del trasferimento forzato di minori dall’Ucraina alla Russia), la Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja persegue lo stesso obiettivo, ma in modo diverso.

Le sanzioni del 2014, oltre a punire la Russia per l’allargamento dei confini a spese di un altro stato, volevano provare a creare un contrappeso a Putin all’interno del sistema di potere. Ma già allora era apparso chiaro che i rappresentanti dell’élite russa non avevano la forza e gli strumenti per influenzare le scelte del Cremlino. Chi aveva una buona reputazione in occidente e meno possibilità di subire le sanzioni, aspettò semplicemente che la tempesta passasse, continuando a seguire i propri affari. Chi invece era stato colpito dalle sanzioni cercò di trasformare il marchio di vittima dell’occidente in una sorta di medaglia al merito: in una prova, all’interno dei ranghi della nomenklatura, di patriottismo e di lealtà verso Putin e il suo regime.

Clima di sospetto

La prima categoria comprendeva i funzionari più integrati nell’economia mondiale, tecnocrati con competenze utili in qualsiasi sistema politico. La seconda raggruppava persone i cui meriti principali erano la fedeltà al leader, il risentimento verso l’occidente, la nostalgia postsovietica e la retorica conservatrice e religiosa. Le sanzioni gli impedivano di tenere insieme le critiche all’occidente e i soggiorni nelle loro lussuose ville in Europa. In pratica una situazione simile a quella che si è verificata in Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022. Nella classe dirigente russa, quindi, le sanzioni per l’annessione della Crimea e la guerra in Donbass crearono una schiera di funzionari molto coesa, interessata a mantenere tesi i rapporti con l’occidente e ostile a chi avrebbe voluto migliorarli. Putin apparteneva al gruppo delle persone non sanzionate (l’occidente voleva lasciare spazio al dialogo al vertice), ma simpatizzava con i funzionari colpiti.

Oggi, al contrario, il mandato d’arresto per Putin arriva in un clima di sospetto ai vertici del potere russo, e sarà letto come un invito ad abbandonare il presidente, a unirsi contro di lui. Allo stesso tempo, se il numero di mandati d’arresto aumenterà, probabilmente si ripeterà la situazione che si era creata con le sanzioni del 2014: alcuni cercheranno di evitare di essere colpiti, altri faranno a gara per vedere contro chi sarà emesso il prossimo mandato.

Tuttavia, tra le liste del 2014 e l’elenco stilato dalla Cpi, finora molto ristretto, c’è una differenza importante. Le misure rivolte inizialmente contro la nomenklatura russa funzionavano, per così dire, dal basso verso l’alto. Le prime erano state imposte contro persone ritenute responsabili di colpe specifiche: la morte in carcere dell’avvocato Sergej Magnitskij, l’annessione della Crimea, la guerra ibrida in Donbass. Poi si sono allargate fino a colpire tutti i vertici dello stato russo solo dopo l’invasione dell’Ucraina del 2022, quando anche i funzionari che fino ad allora l’avevano scampata sono stati presi di mira.

Il provvedimento dei giudici traccia un confine netto tra l’apparato e Putin

La giustizia penale internazionale ha invece cominciato la sua azione dai vertici della piramide. Il procuratore capo della Cpi, il britannico Karim Khan, ha definito il mandato contro Putin il primo passo per una serie di altre indagini. Questo approccio dall’alto verso il basso può essere lo strumento migliore per tracciare una linea netta tra il capo di un regime e il suo apparato.

La situazione innescata dal mandato sembra diversa da quella creata dalle sanzioni. Allora Putin, che non era stato direttamente coinvolto, osservava cosa sarebbe successo alle persone del suo entou­rage che venivano colpite. Oggi è il suo entourage a guardare cosa succederà a lui. Certo, in futuro i rappresentanti dell’élite russa colpiti dai mandati d’arresto potrebbero reagire rafforzando la loro lealtà al regime, come già successo ai tempi delle sanzioni. Ma per ora il confine tra l’apparato, che non è stato ancora preso di mira, e Putin è molto chiaro. A tale riguardo, è utile ricordare un paio di precedenti storici: l’apparato statale serbo, per anni fedele al presidente Slobodan Milošević, lo consegnò al tribunale dell’Aja subito dopo la sua destituzione; e la nomenklatura costruita dal dittatore spagnolo Francisco Franco per tenere in piedi il regime dopo la sua morte partecipò attivamente allo smantellamento del sistema appena le cose cominciarono a cambiare.

Legittimazione esterna

La Russia, insieme a Cina e Stati Uniti, è tra i paesi che non riconoscono la giurisdizione della Corte penale internazionale. Per Mosca il mandato emesso non ha alcun valore e, anche se non ci fosse stato, nel prossimo futuro Putin non avrebbe comunque visitato i paesi occidentali, a prescindere dalla loro adesione alla Cpi.

Già nel 2022, per evitare l’isolamento politico, e temendo per la propria incolumità, il presidente russo non è andato al G20 in Indonesia. Perfino nei suoi spostamenti all’interno del paese ormai cerca di usare quasi esclusivamente un treno speciale anziché l’aereo.

D’altra parte, se anche Putin decidesse di far visita a uno dei paesi non occidentali pronti ad accoglierlo – come il Tagikistan – difficilmente sarebbe arrestato. E lo stesso discorso vale per la maggior parte degli stati non occidentali, anche per quelli che riconoscono la giurisdizione della Cpi.

Ma quello che è concesso a Putin non vale per i funzionari di rango inferiore dell’apparato statale. Per loro, in caso di mandato d’arresto, il rischio di finire in prigione o di essere interrogati in paesi che riconoscono la Cpi è molto più alto. Considerato anche che quando Putin va all’estero è sempre accompagnato da imponenti delegazioni, e la maggior parte del lavoro viene svolto senza la sua partecipazione diretta.

Le sanzioni occidentali avevano già ridotto notevolmente la capacità della nomenklatura russa di viaggiare, acquistare proprietà e partecipare a eventi all’estero. Oggi questa capacità si restringe di più. Per quanto la Russia enfatizzi il malcontento del mondo non occidentale nei confronti dell’occidente, la maggior parte di questi governi ha comunque relazioni più strette con le capitali occidentali che con Mosca. Il mondo si chiuderà ancora di più. E i leader russi saranno sempre meno disposti a lasciare andare all’estero i propri subordinati.

Per adesso il mandato della Cpi non avrà conseguenze legali dirette, ma quelle diplomatiche sono già dietro l’angolo. In primo luogo l’operazione ostacolerà le relazioni tra Mosca e i paesi non occidentali, sulle quali i russi stavano puntando per sostituire il rapporto con l’occidente, ormai azzerato.

Come la Russia, anche i suoi maggiori interlocutori non occidentali – Cina, India e Turchia – non riconoscono la Cpi, la cui giurisdizione è però accettata da quasi tutti gli stati dell’Africa e dell’America Latina, regioni dove Mosca sta cercando di proporsi come alleata nella lotta al necolonialismo occidentale.

Anche la possibilità che Putin sia presente al G20 di settembre in India oggi va valutata in modo diverso, per quanto l’India faccia parte dei cosiddetti Brics (insieme a Brasile, Cina, Sudafrica e alla stessa Russia), un’alleanza che Mosca è abituata a contrapporre all’occidente ma che ha al suo interno due paesi che riconoscono la Cpi (Brasile e Sudafrica).

Il punto è che da sempre i dittatori cercano una legittimazione nei rapporti internazionali e nel riconoscimento dei governi stranieri. Tutti – da Franco al romeno Ceaușescu, da Fidel Castro a Putin – hanno sempre puntato a rendere il più evidente possibile la loro presenza ai summit internazionali, a fare viaggi all’estero, a invitare rispettabili leader stranieri, preferibilmente democratici. Il mandato della Cpi infligge un altro duro colpo a questa strategia, il cui successo era già stato messo in discussione dalla guerra. ◆ab

Aleksandr Baunov è un politologo e giornalista russo, analista dell’istituto Carnegie. Meduza è un giornale online indipendente russo con sede a Riga, in Lettonia. A gennaio è stato inserito nella lista delle “organizzazioni indesiderate” dalle autorità di Mosca.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati