La guerra in Ucraina ha trovato a Roma una cassa di risonanza particolare sabato 5 novembre. Quel giorno il sostegno unanime alla posizione del Vaticano sul conflitto, la richiesta non molto chiara di un cessate il fuoco e il timore di un’escalation nucleare erano espressi insieme alle prime contestazioni politiche dell’era Meloni. Rispondendo all’appello dei sindacati, delle associazioni di sinistra e del mondo cattolico, decine di migliaia di persone hanno manifestato per la pace nella capitale italiana, in un clima in cui le questioni internazionali si sono legate ai problemi di politica interna.

Il ruolo di Sant’Egidio

A Roma la classe politica è divisa sull’invio di armi a Kiev e deve tenere conto di un’opinione pubblica influenzata dalle conseguenze materiali del conflitto e da un movimento pacifista più forte che altrove. Inoltre nella stessa città convivono le diplomazie di due stati sovrani, la repubblica italiana e il Vaticano, non necessariamente sulla stessa lunghezza d’onda. Questa situazione ha portato davanti alla basilica di San Giovanni una grande folla. Sul palco hanno parlato responsabili religiosi, personalità cattoliche e laiche, militanti pacifisti, rappresentanti della sinistra progressista e sindacalisti, tutti riuniti con l’approvazione morale del papa.

Durante la manifestazione per la pace. Roma, 5 novembre 2022 (Renato Ferrantini)

“Questa piazza, che riunisce diverse gruppi culturali e politici italiani ha come riferimento comune la posizione espressa da papa Francesco sul conflitto”, ha spiegato a Le Monde Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, che è tra gli organizzatori della manifestazione. Questa importante organizzazione, che si muove nell’orbita della Santa Sede aiutando i poveri e facendo da mediatrice in diversi conflitti nel mondo, a fine ottobre aveva invitato a Roma il presidente francese Emmanuel Macron in occasione del suo evento annuale per la pace.

La visita del capo dello stato francese, che in quell’occasione ha incontrato il papa, doveva secondo Riccardi “contribuire alla rinascita di una cultura di pace sulla scena internazionale”. La manifestazione del 5 novembre è una sorta di continuazione di quella iniziativa, legata alla posizione di papa Francesco, che in occasione dell’Angelus del 2 ottobre aveva esortato il presidente della Federazione russa a fermare la guerra, chiedendo all’Ucraina di mostrarsi aperta alla prospettiva di un negoziato.

Chi ha promosso la manifestazione la considera un punto di partenza per un movimento più grande. L’ambizione è quella di riportare il concetto di pace al centro delle discussioni, con la convinzione che di fronte al rischio di uno scontro nucleare “le cose possono muoversi” in favore di una soluzione diplomatica, nelle capitali europee, così come a Washington, Pechino e Mosca.

Se questo movimento dovesse materializzarsi, troverebbe in Italia un terreno favorevole. “La memoria del fascismo associata al militarismo, alla sconfitta dell’Italia nella seconda guerra mondiale, all’eredità del Partito comunista più forte dell’Europa occidentale e all’influenza della chiesa e della Democrazia cristiana spiegano la presenza di questa corrente pacifista, al tempo stesso trasversale da un punto di vista politico e molto radicata da un punto di vista culturale”, afferma Fabrizio Coticchia, professore di scienze politiche all’università di Genova e uno degli autori di un libro sul pacifismo in Italia. Questi fattori hanno portato a una minore diffusione dell’idea di una guerra giusta e a una tendenza più forte che altrove a rifiutare la guerra, definita un’ “inutile strage”.

Il movimento pacifista aveva raggiunto un picco di popolarità durante l’invasione dell’Iraq, alla quale l’Italia, con il governo Berlusconi, aveva partecipato nel 2003. In seguito si era affievolito. La guerra in Ucraina, però, gli ha dato l’occasione di reinventarsi nonostante le divisioni interne. “Subito dopo l’invasione russa c’era chi voleva la pace a tutti i costi e chi riteneva che il sostegno militare a Kiev avrebbe permesso all’Ucraina di negoziare una pace più giusta”, spiega Francesco Vignarca della Rete italiana per la pace e il disarmo. “Ci sono voluti diversi mesi per spingere le nostre associazioni a superare questo punto e a trovare un accordo sul fatto che l’Ucraina ha il diritto di difendersi, ma che bisogna arrivare a un cessate il fuoco immediato e all’avvio di negoziati da parte della comunità internazionale”.

Tuttavia, restano delle ambiguità e delle divisioni. In Italia più che in qualunque altro paese d’Europa il sostegno militare all’Ucraina rimane un argomento di discordia nella classe politica. Le divergenze tra i partiti sulla questione, che hanno contribuito ad affrettare la caduta del governo Draghi nel luglio scorso, hanno assunto una nuova dimensione con il governo guidato da Giorgia Meloni, il più a destra della storia repubblicana. Il conflitto divide il Partito democratico (Pd), che difende il sostegno militare all’Ucraina, e il Movimento 5 stelle, il cui leader Giuseppe Conte è contrario all’invio di armi a Kiev.

Opposizione divisa

Conte e il segretario del Pd Enrico Letta hanno partecipato alla manifestazione, ma le diverse posizioni sul conflitto riassumono le difficoltà nella costruzione di un’opposizione di sinistra al governo Meloni, che ha rinnovato l’impegno di Roma per gli aiuti militari a Kiev. Segno che le questioni internazionali continuano ad alimentare le divisioni nella politica interna, lo stesso giorno il Pd era presente anche a una manifestazione in sostegno dell’Ucraina a Milano, organizzata dal leader centrista Carlo Calenda in contrapposizione alla manifestazione di Roma, criticata da quest’ultimo e accusata di avere una posizione equidistante da Kiev e da Mosca.

La manifestazione di Roma ha riunito diverse organizzazioni di sinistra impegnate in sforzi comuni nel contrasto alla povertà, nell’aiuto ai migranti e nella lotta contro le discriminazioni. L’iniziativa quindi ha assunto una dimensione ulteriore, a pochi giorni di distanza dal primo consiglio dei ministri di un governo che promette di limitare alcune misure sociali e di avere una politica dura sull’immigrazione, con il blocco al largo delle coste italiane delle navi appartenenti alle ong impegnate nel soccorso in mare. “Papa Francesco ha ragione quando dice che la terza guerra mondiale è già cominciata”, dice a Le Monde Maurizio Landini, segretario generale della Cgil. “I bombardamenti in Ucraina, la situazione dei migranti nel Mediterraneo e la povertà in aumento nelle nostre città derivano da una sola e unica realtà, da un sistema che dobbiamo combattere”. ◆adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1486 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati