Sul monitor di Sergio Scandura, 57 anni, la mappa del Mediterraneo centrale – tra Italia, Libia e Tunisia – evoca uno strano cielo notturno disseminato di segnali luminosi. Ogni piccola figura dai colori vivaci rappresenta una nave. Il più delle volte si tratta di un mercantile, il cui sistema di tracciamento indica la destinazione, le dimensioni, il tonnellaggio e la nazionalità. Le traiettorie uniscono le coste africane con quelle italiane. Ma quello che Scandura cerca è altrove, nell’abisso che le separa. Cerca la forma di una frontiera e le tracce di chi, invisibile, cerca di attraversarla.

Da Catania, il porto siciliano ai confini dell’Europa e dell’Africa, il corrispondente di un mezzo d’informazione unico nel suo genere, Radio radicale, è diventato l’archivista paziente di una zona geografica che ossessiona il dibattito politico europeo. Scandura ha deciso di documentare ogni operazione di soccorso, ogni respingimento verso le coste africane, ogni naufragio, mentre sul mare cala quella che lui descrive come un’opacità sempre più profonda. “Dal 2018 le autorità hanno smesso di dare comunicazioni sui salvataggi e sulle intercettazioni. Non pubblicano più dati sugli arrivi o sulla provenienza esatta. Le immagini sono pochissime, i giornalisti non possono seguire le operazioni di soccorso e spesso sono allontanati dai posti dove avvengono gli sbarchi”, spiega Scandura. Solo incrociando le sue ricerche, aperte a tutti, con le frammentarie indicazioni di quelle che lui definisce le sue “gole profonde”, riesce a mettere insieme le informazioni che i suoi ex interlocutori della marina, della guardia costiera e della dogana non danno ormai più a nessuno.

Sergio Scandura davanti a una nave della guardia costiera. Catania, 31 maggio 2023 (Alfredo D’Amato, Panos)

È in questo modo che il giorno prima ha saputo da un informatore che tre pescherecci in pessime condizioni provenienti dalla Cirenaica, in Libia, erano diretti verso l’Italia con a bordo cinquecento persone. Una piattaforma che traccia il traffico aereo gli ha permesso di individuare un velivolo di Frontex, l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne, diretto verso quella zona di intervento.

In seguito ha potuto confermare, grazie a due informatori anonimi, il salvataggio di 1.600 persone, scese con grande discrezione dalle motovedette italiane della marina, della guardia di finanza e di Frontex. Queste imbarcazioni non sono individuabili e compiono le missioni di salvataggio in mare ai limiti della riservatezza. “Far sbarcare delle persone in Italia non va d’accordo con la promessa di controllare i flussi di migranti”, osserva il giornalista. “Di conseguenza fanno il più bel lavoro del mondo di nascosto, perché nel contesto attuale rendere noto che si stanno salvando delle vite avrebbe un costo politico”.

Gli ascoltatori del notiziario del mattino su Radio radicale hanno in anteprima i racconti dei salvataggi, le cui prove sono pubblicate sull’account Twitter di Scandura. Il giornalista è diventato una vedetta insostituibile per chi, operatori umanitari, giornalisti, attivisti o ricercatori, gravita intorno al Mediterraneo centrale. Anche se non sono sempre citati in modo esplicito, i suoi servizi per Radio radicale sono ormai un punto di riferimento.

“L’Europa, che viveva il fenomeno migratorio in modo pacifico, ha progressivamente cominciato a viverlo in modo isterico”

Felici di salvare delle vite

Attraverso gli occhi di Scandura la frontiera non è più una linea immaginaria, ma un sistema complesso e coerente. Il giornalista conosce tutti gli attori coinvolti, ha studiato ogni velivolo della flotta privata a cui Frontex ha affidato la sorveglianza aerea, ogni nave delle diverse autorità e delle ong che si occupano del soccorso in mare. A distanza ha imparato a conoscere il profilo della costa libica, con le sue insenature frequentate dai contrabbandieri, e i meandri dei circuiti finanziari maltesi. Per Scandura la documentazione completa delle zone grigie è una missione di servizio pubblico alla quale lui, celibe e senza figli, sembra dedicarsi fino ai limiti del sacrificio, ma sempre fedele allo spirito della radio per cui lavora. Una radio al tempo stesso di protesta e istituzionale, impertinente e molto ascoltata negli ambienti della politica romana. Fondata nel 1976 con il motto “Conoscere per deliberare”, Radio radicale ha seguito gli ideali libertari, liberali, laici e transnazionali di Marco Pannella, leader carismatico del Partito radicale.

Avendo sempre come filo conduttore i diritti che permettono alla società italiana di emanciparsi e che il pensiero dominante vuole ora limitare, i radicali italiani, pochi da un punto di vista numerico ma comunque influenti, sono stati presenti in tutte le battaglie politiche, dal divorzio all’aborto o alle lotte per i diritti degli omosessuali. Trasmettendo attraverso la loro radio, all’inizio in modo artigianale, i dibatti alla camera dei deputati, i parlamentari radicali furono i primi ad affermare un’aspirazione alla trasparenza che il giornalista incarna ancora oggi nel suo confronto con il labirinto della frontiera.

“All’inizio delle primavere arabe Pannella aveva detto che sarebbe stato necessario mettere delle boe con delle telecamere per vedere cosa succedeva nel Mediterraneo”, racconta Scandura in un caffè a piazza Mazzini, nel centro storico di Catania. “Più che un leader politico, per me è stato un maestro di giornalismo”.

Si conobbero nel 1988, quando il leader del Partito radicale sbarcò in una Catania corrotta dalla criminalità organizzata per fare eleggere per la prima volta un sindaco che non provenisse dalla Democrazia cristiana, partito centrista al potere dalla fine della seconda guerra mondiale.

Scandura, figlio di un fabbricante di ombrelloni con simpatie neofasciste, veterano dell’esercito di occupazione italiana nei Balcani, e di una madre di sinistra da cui ha ereditato la passione per la musica, si era impegnato nella campagna elettorale. In seguito per Radio radicale seguì il conflitto tra i clan mafiosi in Sicilia, poi la guerra di mafia dei primi anni novanta, segnata dagli attentati compiuti contro i giudici Falcone e Borsellino. In quel momento apocalittico e confuso Scandura diventò un reporter di guerra in Sicilia e tale è rimasto. L’unica differenza: il campo di battaglia è diventato invisibile.

“In fondo, lavorare sulla mafia mi ha preparato a quello che faccio oggi. Nelle milizie libiche ritrovo le stesse modalità di funzionamento della criminalità organizzata siciliana”, assicura il giornalista. Il riferimento è alla guardia costiera libica, con cui gli europei collaborano e che sostengono materialmente nonostante le provate violazioni dei diritti umani. “È ai libici che abbiamo subappaltato il controllo delle nostre frontiere. Gli abbiamo dato delle barche veloci, un po’ come se all’epoca del giudice Falcone fossero state offerte ai mafiosi delle volanti della polizia. E nell’opacità su quanto succede nel Mediterraneo c’è qualcosa che ricorda l’omertà”.

Ma non è stato sempre così. Seduto alla terrazza del caffè-ristorante La Bitta, con vista sul porto, Scandura ricorda l’epoca in cui, fino al 2017, Catania era un’importante base per il soccorso in mare. Militari italiani, guardia costiera e personale delle ong internazionali, oggi prese di mira dal governo italiano, lavoravano insieme formando una “comunità di salvataggio in mare”. “Alla fine della giornata tutti si ritrovavano qui, in questo bar, si beveva un bicchiere, si discuteva in modo informale”, racconta Scandura. “Avevo dei rapporti diretti con tutti”.

Il corrispondente di Radio radicale conserva un servizio del 2014 fatto dalla Rai sulla missione Mare nostrum della marina italiana, all’epoca presente nel Mediterraneo centrale per prevenire i naufragi. Si vedono centinaia di profughi siriani accolti tra gli applausi dai marinai italiani a bordo di una nave da guerra, la San Giusto. Il commento entusiastico parlava della “carezza della provvidenza” che i migranti potevano finalmente sentire, poi il comandante in seconda della nave, Pasquale Mellone, interveniva davanti alla telecamera: “Per noi sono naufraghi, non migranti, anche se la loro barca galleggia ancora”.

Il servizio terminava rallegrandosi per la fine dei naufragi nel Mediterraneo. “All’epoca era semplice, salvavano delle vite ed erano contenti di mostrarlo”, dice il giornalista. Alla fine del 2014 Mare nostrum era considerato un “fattore di attrazione”. Ma la missione successiva non ha più avuto il compito principale di impedire le morti in mare. A partire da quel momento la zona di frontiera non ha smesso di diventare più complicata, con un numero sempre maggiore di forze coinvolte, e sempre meno trasparente, mentre le imbarcazioni hanno continuato ad affondare. Nel primo trimestre del 2023 l’Organizzazione mondiale per le migrazioni ha registrato 441 morti nel Mediterraneo, il numero più alto dal 2017. Tra loro ci sono anche le 94 vittime del naufragio di Cutro, in Calabria, tra cui 35 minori.

La magistratura italiana ha aperto un’inchiesta per determinare le cause di quel naufragio, ma gli elementi raccolti, grazie anche al contributo di Scandura, indicano una mancanza del dispositivo di sorveglianza e di salvataggio guidato da Roma.

Dal suo posto di osservazione di Catania, il corrispondente di Radio radicale ha visto il mondo cambiare. “Nel 2016 le ong hanno cominciato a essere accusate di complicità con i trafficanti di esseri umani”, ricorda il giornalista. Nel frattempo in rete è cresciuto il discorso complottista su “un’invasione” di cui le ong sarebbero complici. L’argomento era sostenuto in particolare dai populisti, all’epoca in grande ascesa in Italia e non solo, seguiti dai partiti tradizionali.

Un buco nero

“L’Europa, che viveva il fenomeno migratorio in modo pacifico, ha progressivamente cominciato a viverlo in modo isterico”, sintetizza il giornalista. Nel 2017 Scandura era tra i giornalisti intercettati nel corso di un’indagine sui presunti legami tra le ong e i contrabbandieri libici. Un’indagine avviata con l’aiuto di ex poliziotti diventati detective privati e di sostenitori della destra populista. Poi nel 2018 il leader della Lega Matteo Salvini, che aveva puntato su una posizione molto ostile nei confronti dei migranti, è diventato ministro dell’interno. “A un certo punto si è scelto di fare del Mediterraneo un buco nero”, osserva il giornalista. “Da allora si rivive in continuazione lo stesso giorno. Governo dopo governo, si continua a parlare di una crisi da trattare in condizioni di emergenza. Non si vede più la migrazione nel suo insieme. Si dimentica che questo fenomeno continuerà, indipendentemente da quello che facciamo”.

Entrato in carica nell’ottobre 2022, il governo guidato da Giorgia Meloni ha ulteriormente limitato le attività di salvataggio delle ong e ha dichiarato lo stato di emergenza migratoria per rispondere all’accelerazione degli arrivi nel Mediterraneo orientale, ai quali ha promesso di mettere fine attraverso degli accordi con i paesi di transito.

Sei anni dopo la “svolta del buco nero”, sulla terrazza della Bitta c’è solo Scandura che continua a interessarsi alla frontiera e a chi l’attraversa. “I tempi sono sempre più bui e io sono stanco”, confessa prima che qualcosa all’orizzonte risvegli improvvisamente la sua attenzione, il profilo di una barca che riconosce immediatamente. “È la motovedetta romena di Frontex che ha partecipato al salvataggio di questa mattina”. Lascia la sua birra siciliana e l’insalata di tonno per andare a filmare l’entrata in porto della motovedetta. Va in scooter verso una banchina isolata del porto, e lì cerca, senza attirare l’attenzione degli agenti di sicurezza, di raccogliere informazioni sull’equipaggio sceso a terra. I marinai romeni e il loro agente di collegamento italiano evitano educatamente di rispondere, ma con il giornalista parlano volentieri di meccanica.

Sul ponte nuovo fiammante della loro motovedetta Damen 408 non c’è alcuna traccia delle 240 persone che la barca ha soccorso nel mar Ionio. In seguito Scandura verrà a sapere che sono state sbarcate al riparo da occhi indiscreti nel vicino porto di Augusta, prima di scomparire nel groviglio del sistema di accoglienza italiano. Con i mezzi a sua disposizione, il corrispondente di Radio radicale ha potuto documentare in modo rigoroso il loro ingresso in Europa. Ma non potrà mai conoscere i loro volti e le loro storie, perché attraversando il Mediterraneo questi uomini e queste donne sono diventati, come la frontiera, invisibili. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati