Vedere il caos a Gaza, quando la folla ha circondato l’auto con a bordo le tre donne israeliane che dovevano essere liberate, mi ha fatto pensare che forse la fine del tunnel è vicina. Forse si vede una via d’uscita dalla guerra maledetta che ha sconvolto la vita degli israeliani e dei palestinesi dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre 2023: la prima fase della tregua è cominciata e potrebbe concludersi con successo in sei settimane.
Il passaggio alla seconda fase sarà più difficile. Non è chiaro se i leader di entrambe le parti siano interessati a realizzarla. Eppure, forse il 19 gennaio abbiamo salito il primo gradino della scala verso la fine della guerra. Quel giorno Hamas ha cercato di dare una dimostrazione di forza mentre l’esercito israeliano si ritirava da varie zone della Striscia di Gaza e i primi tre ostaggi – Doron Steinbrecher ed Emily Damari, rapite nel kibbutz di Kfar Azza, e Romi Gonen, al festival musicale Nova – erano consegnati alla Croce rossa.
Nella città di Gaza, a diversi chilometri da dove fino a pochi giorni prima c’erano le truppe israeliane, sono comparsi centinaia di miliziani armati. Sembra che Hamas abbia voluto dimostrare sia la sua forza militare sia la sua aspirazione a ristabilire un governo civile. Ma questo non è ancora un fatto compiuto: nei prossimi mesi potrebbero esserci altre soluzioni per la Striscia.
Come prevedibile, la tensione è stata alta fino all’ultimo minuto, quando il cessate il fuoco è entrato in vigore. Non si sa se si è trattato di problemi nelle comunicazioni interne di Hamas dovuti alla guerra o di voler continuare gli abusi psicologici sulle famiglie degli ostaggi, ma l’organizzazione non ha rispettato i tempi stabiliti dall’accordo e la notte tra il 18 e il 19 gennaio non aveva ancora consegnato i nomi delle persone che avrebbe rilasciato. Israele allora ha annunciato che non avrebbe avviato il cessate il fuoco alle 8.30, come previsto. Circa due ore dopo, i nomi sono stati finalmente comunicati, e poco dopo l’esercito ha interrotto le ostilità. Nel frattempo le forze aree avevano bombardato i convogli inviati in varie parti della Striscia dall’ala militare di Hamas per celebrare la vittoria. Almeno quattordici persone sono state uccise.
Grandi concessioni
All’inizio i convogli armati si sono visti soprattutto nel sud del territorio. I miliziani erano ammassati sui pickup e sparavano in aria per la gioia. Hamas sta investendo molto per convincere la popolazione di Gaza che è stata una vittoria, nonostante tutta la sofferenza degli ultimi quindici mesi. Non sembra che sia già cominciato un ritorno in massa degli sfollati dalla zona sicura di Al Mawasi, nel sud, verso il nord, perché l’esercito israeliano non ha evacuato completamente, come avrebbe dovuto, il corridoio Netzarim.
Nel nord della Striscia invece il traffico scorreva tra le città di Gaza, Jabalia e Beit Hanun, da cui gli israeliani si erano ritirati durante il fine settimana. Quando le truppe lasceranno il corridoio Netzarim dovrebbe cominciare un grande flusso di persone verso nord, si stima circa un milione o più. A quel punto, se la prima fase dell’accordo dovesse fallire, per l’esercito sarà difficile tornare nell’area e ricominciare la guerra. I discorsi su una sua ripresa, che potrebbe avvenire alla fine della prima fase, per ora sono soprattutto teorici. La decisione è nelle mani del presidente statunitense Donald Trump.
◆ Il primo giorno del cessate il fuoco a Gaza tra Israele e Hamas sono state rilasciate tre donne che da 471 giorni erano ostaggio del gruppo estremista palestinese. The Times of Israel riferisce che il 20 gennaio hanno reso pubblici alcuni dettagli della loro prigionia.
Romi Gonen (24 anni), Emily Damari (28) e Doron Steinbrecher (31) hanno detto di essere state informate della loro liberazione solo poche ore prima di essere consegnate alla Croce rossa. Inoltre hanno raccontato di essere state spostate in varie zone della Striscia di Gaza negli ultimi quindici mesi, compresa la “zona umanitaria” nel sud del territorio, e di non essere mai state da sole: “Hanno visto a malapena la luce del giorno e hanno trascorso la maggior parte del tempo sottoterra. Ogni tanto hanno potuto seguire le notizie alla radio e alla televisione e così sono venute a sapere delle proteste per chiedere al governo di assicurare il rilascio degli ostaggi prigionieri a Gaza. ‘Abbiamo visto la vostra lotta’, ha detto una di loro. ‘Abbiamo sentito le nostre famiglie battersi per noi’”. Hanno anche riferito di aver ricevuto delle medicine e una di loro è stata sottoposta a un intervento senza anestesia.
Il 20 gennaio, durante una conferenza stampa allo Sheba medical center dove le tre donne sono ricoverate in osservazione, Yamit Ashkenazi ha letto un messaggio in cui sua sorella Doron Steinbrecher esorta gli israeliani “a continuare le proteste finché non saranno liberati tutti gli ostaggi”. Secondo il Times of Israel altri quattro ostaggi saranno rilasciati il 25 gennaio.
Le molte promesse che il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto al ministro delle finanze Bezalel Smotrich per assicurarsi che il partito Sionismo religioso rimanga nel governo durante la prima fase sono destinate a scontrarsi con le richieste di Trump. Se il presidente statunitense insisterà sul fatto che la guerra a Gaza deve finire, per Netanyahu sarà molto difficile sfidarlo.
Nel frattempo, stanno cominciando a emergere i dettagli delle concessioni fatte da Israele nell’accordo. La liberazione dei prigionieri palestinesi sta provocando dure reazioni dell’opinione pubblica nazionale, non tanto per il numero, quanto per il fatto che potrebbero essere rilasciati terroristi coinvolti in orrendi attentati in cui negli anni novanta e duemila furono uccisi molti israeliani. Ma chiunque abbia seguito la situazione a Gaza e non si sia fatto ingannare dalle dichiarazioni di Netanyahu e dai megafoni della sua propaganda, avrebbe potuto indovinare molto tempo fa che questo sarebbe stato l’esito della guerra. La triste verità è che Israele ha perso la guerra il 7 ottobre 2023. Tutto quello che ha fatto da allora è stato tentare di contenere i danni. Per raggiungere un accordo per il rilascio di tutti gli ostaggi Israele ha dovuto fare grandi concessioni. La seconda fase riguarderà prigionieri più sanguinari e di rango più alto di quelli liberati nella prima fase.
Promesse e diversivi
Tra i motivi principali per cui ci troviamo in questa situazione c’è il rifiuto di Netanyahu di discutere qualsiasi assetto del dopoguerra nella Striscia di Gaza, in particolare soluzioni che coinvolgano l’Autorità nazionale palestinese (Anp).
I piani di Trump, che fanno parte di un accordo tra Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele, potrebbero determinare il tentativo d’imporre a Netanyahu un’altra intesa. Dato che agli occhi dei suoi seguaci Netanyahu non è mai colpevole o responsabile di nulla, lui investe molto in azioni diversive, per nascondere il divario tra le sue promesse e la situazione reale. Quando parla dei prigionieri che saranno liberati, la destra incolpa la sinistra e i manifestanti ostili al governo, come se questi avessero un’influenza così forte.
Ora più che mai l’esercito israeliano è accusato di aver ostacolato il governo sulla strada della vittoria totale. Negli ultimi giorni nei colloqui in cui i leader del Likud (il partito di Netanyahu) tentavano di convincere Smotrich e il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir a restare nella coalizione, si è parlato di licenziare il capo di stato maggiore, il generale Herzl Halevi (che il 21 gennaio ha annunciato le sue dimissioni a partire dal 6 marzo). Il messaggio è che il cessate il fuoco sarà sfruttato per cacciare i disfattisti dai vertici dell’esercito, per poi ricominciare la guerra sotto una nuova gestione. In realtà, è solo un esercizio per confondere l’opinione pubblica. Se la responsabilità del fallimento della guerra sarà addossata agli ufficiali, il governo – che ha formulato una strategia stupida e ha sottovalutato il pericolo rappresentato da Hamas – potrà continuare a evitare la creazione di una commissione d’inchiesta.
Nonostante tutto, il 19 gennaio non è stata una brutta giornata, se paragonata agli ultimi due anni. La tregua a Gaza, tre ostaggi tornati alle famiglie e le dimissioni di Ben Gvir sono stati eventi positivi, considerato quello a cui siamo abituati. Ma c’è un aspetto forse ancora più importante. Nel giorno del massacro e poi nel modo fallimentare in cui il governo ha gestito la crisi degli ostaggi, qualcosa di fondamentale si è spezzato: il senso di solidarietà tra lo stato e i cittadini, lasciati a morire a Gaza. È possibile che il 19 gennaio, con notevole ritardo, sia cominciato il processo di risanamento. ◆ fdl
Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.
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Questo articolo è uscito sul numero 1598 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati