Poche ore dopo l’annuncio della mobilitazione dei riservisti russi, Rodion Logvin è scappato in Georgia per evitare di essere richiamato alle armi. Trent’anni, di Mosca, Logvin racconta: “Ho fatto le valigie e sono partito. Ero sopraffatto dalle emozioni”. Dopo aver guidato per duemila chilometri, evitando i posti di blocco, Logvin è arrivato a Tbilisi, la capitale della Georgia. “Sapevo di avere poco tempo”, ha detto al Moscow Times.
Nei giorni scorsi, mentre sembrava che il Cremlino volesse impedire ai riservisti di lasciare il paese, altre decine di migliaia di russi sono fuggiti all’estero. Ai valichi di frontiera con Georgia, Kazakistan e Mongolia, paesi che non richiedono il visto d’ingresso ai cittadini russi, si sono viste scene insolite. Le code più lunghe si sono formate al confine con la Georgia. “Il caos era totale”, racconta Logvin, che ha aspettato 34 ore in coda. Secondo le autorità locali, il 26 settembre le auto incolonnate erano più di 3.500. Alcuni testimoni hanno raccontato di aver visto soldati russi su veicoli blindati. “Abbiamo dovuto difendere il nostro posto in fila. Sembrava di essere in battaglia”, spiega Logvin.
La paura del fronte
Il 25 settembre il giornale online indipendente Novaja Gazeta Europe, citando fonti interne al Cremlino, ha riferito che nei quattro giorni successivi all’annuncio della prima mobilitazione in Russia dalla seconda guerra mondiale circa 260mila uomini hanno lasciato il paese. Considerate le restrizioni all’ingresso dei cittadini russi introdotte dai paesi dell’Unione europea, molti hanno scelto i paesi del Caucaso (l’Armenia, oltre alla Georgia), la Bielorussia, la Turchia e le nazioni dell’Asia centrale. “Mi è bastata mezz’ora per decidere di partire”, racconta un moscovita di trent’anni che ha chiesto di rimanere anonimo. “Non voglio morire senza un motivo”. Chi è partito ha trovato una fonte indispensabile di notizie nell’app di messaggistica Telegram. Un canale creato appositamente per informare sulla situazione al confine con la Georgia ha raddoppiato i suoi iscritti in cinque giorni: oggi ha 127mila utenti. I biglietti per i voli diretti dalle grandi città del paese verso i paesi che non richiedono il visto ai russi sono andati esauriti in brevissimo tempo. Per alcune rotte oggi hanno prezzi dieci volte superiori a quelli normali: lo scorso fine settimana per andare da Mosca a Baku, in Azerbaigian, servivano 665mila rubli, circa dodicimila euro.
“È un miracolo che sia riuscito a comprare un biglietto”, racconta un russo arrivato il 26 settembre a Erevan, in Armenia. L’uomo, che vuole rimanere anonimo, ha detto di aver pagato il biglietto quanto un’auto usata di buona qualità.
Secondo Irina Lobanovskaja, che di recente ha pubblicato una guida online per chi vuole lasciare il paese, l’esodo è stato perfino più grande di quello che c’era stato agli inizi di marzo, subito dopo l’invasione dell’Ucraina. “Stavolta non c’è dubbio che il paese sia in guerra. È una realtà innegabile”, spiega Lobanovskaja.
Il 26 settembre il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha fatto sapere che non era stata presa nessuna decisione per impedire di lasciare il paese agli uomini che possono essere richiamati alle armi. Ma diverse persone riuscite a scappare hanno raccontato al Moscow Times di essere state interrogate dagli agenti di frontiera russi sui loro trascorsi militari.
La testata indipendente The Bell ha scritto che gli agenti di frontiera hanno ricevuto delle liste con i nomi degli uomini già arruolati. Anche se Putin ha parlato di mobilitazione parziale, il timore che l’arruolamento possa essere molto più ampio rispetto a quanto annunciato ha spinto a partire anche persone senza esperienza militare o addirittura esonerate per problemi di salute. Novaja Gazeta Europe ha scritto che una clausola secretata nel decreto di mobilitazione consente di arruolare fino a un milione di persone, molte più delle trecentomila di cui aveva inizialmente parlato il ministro della difesa Sergej Šoigu. “Prima o poi chiameranno tutti”, dice Anton, 34 anni, che ha scelto di rifugiarsi in Tagikistan. Anche Daniil Arkhipov, 24 anni, senza esperienza nell’esercito ed esonerato dal servizio militare, è scappato. Ha scelto il Kirghizistan. “In tutto questo non c’è nessuna logica”, ci ha detto. “Il mio aereo era pieno di uomini russi tra i venti e i quarant’anni”.
Con decine di migliaia di persone già arruolate, e considerato che per Mosca le cose non sembrano mettersi bene, chi ha lasciato il paese sa che ci vorrà tempo prima di poter tornare a casa. “Ho fatto un biglietto di sola andata. So bene che non è una situazione temporanea”, ammette Arkhipov. “Ed è molto dolorosa”. ◆ as
◆ La mobilitazione dei riservisti annunciata dal Cremlino ha innnescato proteste in tutta la Russia, oltre alla fuga all’estero di decine di migliaia di uomini. Diversi centri di reclutamento sono stati dati alle fiamme e migliaia di persone sono scese in piazza in decine di città. La mobilitazione più importante si è svolta nella repubblica autonoma del Daghestan che, come altre regioni abitate da popoli non slavi (Buriazia e Jacuzia, per esempio), ha fornito alla guerra in Ucraina un numero sproporzionato di soldati.
◆Il 27 settembre è stato annunciato il risultato dei referendum per l’annessione alla Russia delle aree ucraine occupate dalle forze di Mosca. Secondo i russi, le regioni di Luhansk, Donetsk, Zaporižžja e Cherson hanno votato a favore in percentuali comprese tra l’87 e il 99,2. Stando alle ricostruzioni dei testimoni, diversi funzionari russi sono andati a raccogliere i voti casa per casa, accompagnati da soldati armati, mentre i seggi erano controllati da militari con il volto coperto. L’Ucraina e la comunità internazionale hanno definito il voto “una farsa”.
◆Tra il 26 e il 27 settembre i gasdotti Nord stream 1 e 2, che collegano la Russia alla Germania, sono stati colpiti da grosse fughe di gas che hanno costretto le autorità danesi a interrompere la navigazione in un tratto del mar Baltico. I sismografi hanno registrato segni di esplosioni sottomarine nell’area. I governi di Ucraina e Polonia hanno accusato la Russia di aver sabotato i gasdotti per aggravare la crisi energetica europea. Reuters, Meduza
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Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati