Nel mondo della musica l’alcol è ovunque: il drink prima del concerto, l’aperitivo al lavoro, quello quasi obbligatorio organizzato durante un festival, “l’aiutino” per lasciarsi andare quando si comincia a lavorare in questo ambiente o quello “per rimanere in piedi” tutta la notte. Per molti lavorare nel mondo della musica è un sogno. Ma è anche un settore in cui alcol e droga sono la norma. Le dipendenze sono un rischio molto diffuso del quale nessuno dei tanti professionisti intervistati ha accettato di parlare apertamente.
Secondo un’analisi del servizio sanitario nazionale francese i mestieri delle arti e dello spettacolo sono tra i più esposti a comportamenti che possono condurre a dipendenze. Lo conferma Sophie Bellet, psicologa presso l’Insaart (Istituto di cura e di accompagnamento degli artisti e dei tecnici): “L’alcol fa parte della ‘cultura’ di questo settore. È probabilmente l’unico universo professionale dove è messo a disposizione sul luogo di lavoro. Eppure consumarlo mentre si lavora è vietato”, ricorda la psicologa. Ci sono vari studi sugli eccessi degli artisti, ma quasi nessuno prende in considerazione il loro ambiente, i manager, i dipendenti di case discografiche, gli addetti stampa e così via.
“Mi serviva per entrare nel ‘club dei ragazzi’”, ricorda una professionista, nel settore da 25 anni. A capo della programmazione di un festival, oggi cerca di risolvere i suoi problemi di dipendenza dall’alcol. “Quando sono arrivata ero una delle poche donne e bere mi aiutava ad adottare i codici dell’ambiente, a prendere posizione, ad avere interazioni sociali. È un mondo in cui regnano chiusura e cooptazione e c’è grande concorrenza”.
Fuori tutte le sere
Per anni questa professionista è uscita più volte a settimana, a seconda dei concerti e degli eventi, accettando degli after hour per coltivare la sua rete di conoscenze e bevendo cinque o sei drink a sera, in alcuni casi fino allo svenimento. “Avevo finito per farmi la reputazione di donna cool, sempre disposta a divertirsi. Ma in realtà non sono proprio quel tipo di persona”. Adesso dopo diversi tentativi è ormai sobria da mesi, “ma in ogni occasione professionale mi viene voglia di un drink”.
Da sempre l’alcol e gli stupefacenti sono parte del costume dell’ambiente musicale. Un altro testimone concorda: “Sono stato tour manager e se la mattina arrivi in una sala da concerto e apri una bottiglia nessuno avrà niente da obiettare”. Lo conferma anche la cantante di un popolare gruppo rock. All’inizio è rimasta sorpresa di constatare “fino a che punto è banale. Ti propongono regolarmente alcol o stupefacenti”. Perché? “Be’, per la prestazione”, spiega la cantante. “Perché uscire la sera per un concerto o per fare festa fa parte del lavoro. Bisogna saper tenere botta”. Bisogna essere ovunque per trovarsi sempre “nel posto giusto” e nei tempi dettati dall’industria. Non si ha diritto alla stanchezza o al disagio. In altre parole “non hai il diritto di lamentarti”, riassume la psicologa Sophie Bellet. “Alcuni miei pazienti mi dicono di avere un lavoro prestigioso, frequentano artisti e vanno a tanti molti concerti. Si tratta di mestieri straordinari, ma non si ha diritto di essere scontenti né di ammettere che si soffre per la dipendenza dall’alcol o dagli stupefacenti”.
Arrivato nel 2011 come stagista in una casa discografica, un professionista ha assunto della cocaina per la prima volta già l’anno successivo: “Volevo provare, rappresentava l’idea che avevo dell’industria: sesso, droga e rock’n’roll”. Ma il consumo occasionale di coca è diventato quotidiano. “Magari non la prendevo in ufficio, ma con alcuni artisti, a cena o ai loro concerti. Situazioni che in un certo senso facevano parte del mio lavoro”.
Dopo tre anni di terapia da uno specialista delle dipendenze, oggi questo discografico ha chiuso con le droghe e ha anche pensato di abbandonare il suo mestiere: “Alla fine ho capito che droga e alcol non facevano parte dei doveri professionali”. In più per lavorare in un mondo così esigente come quello dello spettacolo è fondamentale uno stile di vita controllato.
Un fattore aggravante è anche la precarietà dei mestieri della musica, poiché l’alcol e la droga sono spesso consumati per ridurre lo stress. Come fare allora per evitare che il 56 per cento degli artisti e dei loro collaboratori bevano come spugne? “C’è ormai una presa di coscienza generale”, riconosce Stéphanie Gembarski, che lavora presso la Fédélima, la federazione che riunisce più di 150 luoghi dove si fa musica, per cui si occupa delle dinamiche legate alle diversità e alle pratiche artistiche. Tra le principali iniziative una è quella di regolare l’accesso all’alcol per i professionisti durante gli eventi musicali.
Dietro le quinte
Così al festival Art Rock di Saint-Brieuc, in Bretagna, il vino è vietato nel catering e nella mensa delle squadre tecniche e degli artisti. Tutti hanno ricevuto una comunicazione di servizio per ricordare, come prescrive la legge, il divieto di consumare alcol durante l’orario di lavoro, anche se “organizzare una festa e non avere il diritto di fare festa può creare dei problemi”, riconosce Carol Meyer, direttrice del festival: “Quando sono arrivata negli uffici c’era la spina per la birra. All’Art Rock accogliamo 80mila persone e noi abbiamo una responsabilità per quanto riguarda la loro sicurezza e la nostra”.
Una nuova generazione di professionisti invita comunque a un certo ottimismo. Secondo Gembarski “i più giovani hanno un rapporto diverso con il lavoro, e forse oggi i mestieri della cultura sono meno ricercati”. A sua volta Sophie Bellet riceve un numero sempre maggiore di pazienti che “prevengono i rischi, in particolare per quanto riguarda i problemi di dipendenze, sovraffaticamento, ansia e stress”. E Carol Meyer riconosce che la sua decisione di vietare l’alcol in mensa è stata poco apprezzata dalla “vecchia generazione, che è andata avanti per quarant’anni con alcol a volontà”, mentre i più giovani l’hanno accettata senza particolari problemi.
Il settore si sta progressivamente rendendo conto del problema. Così da settembre i sindacati hanno cominciato a organizzare incontri e dibattiti sulle dipendenze. È successo in ottobre a Parigi al MaMa, una delle principali convention professionali dell’ambito musicale, e lo stesso avverrà anche al festival Trans Musicales di Rennes, a dicembre.
Ma in un ambiente come questo, solitamente bohémien, dove è forte il desiderio di liberarsi dai vincoli di una vita ordinaria, c’è ancora molta strada da fare. “Non facciamo questo lavoro per caso”, riconosce uno dei testimoni che abbiamo intervistato. “Siamo per lo più persone molto sensibili, con percorsi umani piuttosto complicati e con un bisogno vitale di creatività”. ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1589 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati