Olaf Scholz non è certo un vigliacco. La sera della disfatta alle elezioni europee il cancelliere socialdemocratico è andato alla sede del suo partito, l’Spd. Non c’era aria di festa. Scholz è stato circondato quasi timidamente, qualche stretta di mano, qualche selfie, nessun commento sul risultato. Con il 13,9 per cento l’Spd ha fatto peggio perfino del 2019, facendosi superare dai populisti di estrema destra dell’Alternative für Deutschland (Afd). E questo nonostante il segretario generale del partito Kevin Kühnert avesse puntato tutto su questa campagna elettorale. Si era messo d’accordo perché oltre alla capolista Katarina Barley anche il cancelliere si spendesse in prima persona. Infatti, nelle ultime settimane cartelloni con il volto di Barley e Scholz avevano promosso pace e ragionevolezza da tutti gli spartitraffico della Germania. Ma non ha funzionato. Può darsi che a molti il cancelliere pacifista sia sembrato in contraddizione con quello che all’inizio di giugno ha concesso all’Ucraina di usare le armi occidentali anche contro obiettivi in territorio russo. Scholz non è riuscito a cambiare le sorti elettorali del partito neanche rivendicando il salario minimo di 15 euro o annunciando i rimpatri dei migranti in Siria e Afghanistan. Eppure, secondo i sondaggi gran parte dell’elettorato guarda ai temi sociali, della pace e dell’immigrazione per decidere chi votare. Invece l’Spd ha perso più di cinque milioni di elettori rispetto alle politiche del 2021: metà di loro ha ingrossato le file degli astenuti.

Nel partito c’è un’aria di sconcerto. Perché gli elettori più moderati non si sono mobilitati anche se alcuni candidati, come Matthias Ecke, picchiato da giovani di estrema destra mentre attaccava manifesti, le hanno prese – letteralmente – in nome della democrazia? Perché l’Spd ha subìto una drammatica perdita di consensi su un tema molto sentito come la sicurezza sociale? Che succederà alla coalizione di governo con i Verdi e i liberali della Fdp?

Il 10 giugno Kühnert si è presentato in sala stampa scusandosi di non avere una risposta per ogni domanda. La campagna elettorale, che doveva essere il suo capolavoro, è fallita miseramente. Ha risposto in modo frammentario, ma ci ha messo una buona dose di autocritica. In pubblico quasi nessuno ha chiesto: “Come la mettiamo con Olaf?”. Evidentemente, ha osservato Kühnert, “abbiamo perso il contatto” con alcune componenti sociali: i redditi bassi, chi vive in provincia o nelle regioni orientali. Insieme alle europee, infatti, si sono tenute anche le elezioni amministrative, e nella parte orientale del paese i socialdemocratici sono stati messi nell’angolo dall’Afd.

Coesione sociale

Riconquistare chi si è astenuto, ecco la prossima grande sfida. Kühnert sa già come fare: “La gente vuole vederci dare battaglia”. Con l’Spd non ci saranno misure di austerità a spese della coesione sociale. È sembrata una dichiarazione di guerra alla Fdp e al suo ministro delle finanze Christian Lindner che difende il freno al debito pubblico. Ma se Lindner dovesse insistere con i tagli, l’Spd sarebbe pronta a far saltare la coalizione di governo? Kühnert la definisce una domanda ipotetica. Altri però si sbilanciano di più. “Nessuna coalizione è fine a se stessa. Dobbiamo avere più visibilità come partito e smetterla di farla passare sempre liscia alla Fdp”, dice il capo dei giovani socialdemocratici Philipp Türmer. Tagliare dai 30 ai 50 miliardi nel bilancio è impossibile. “Per le catastrofi naturali e gli aiuti all’Ucraina bisogna ammettere una deroga al limite al debito”, dichiara Axel Schäfer, un veterano dell’Spd. Entrambi appartengono all’ala sinistra del partito, non lo rappresentano nella sua interezza. Ma la sera delle elezioni l’insofferenza nei confronti dei liberali è palpabile. Il 10 giugno Lindner ha messo l’ennesimo veto alle proposte socialdemocratiche, dichiarando che la Fdp non permetterà aumenti delle tasse o la sospensione del limite al debito.

Il malumore nei confronti di Scholz sembra invece contenuto. I tempi in cui dopo le sconfitte elettorali si chiedevano le dimissioni dei leader sembrano finiti. Subito dopo il primo exit poll Kühnert ha detto che è troppo facile “dare la colpa” del cattivo risultato “a una sola persona”.

Carsten Linnemann, il segretario generale dei cristianodemocratici della Cdu, ha chiesto al governo di cambiare rotta o di sottoporre Scholz al voto di fiducia. Se i deputati bocciassero il cancelliere bisognerebbe andare al voto, e al momento la Cdu potrebbe diventare il primo partito. Kühnert replica che non ci sono le condizioni per indire nuove elezioni. Il governo ha ancora spazio di manovra. L’Spd ora ha bisogno di un po’ di tempo: “Neanche nel 2019 le europee sono andate bene, eppure abbiamo vinto le politiche”, osserva un militante. Insomma, ora come ora l’unico modo per trovare un po’ di consolazione è guardare al passato. ◆ sk

Da Sofia
Elezioni a ripetizione

◆ Parallelamente alle europee, in Bulgaria si sono tenute anche le elezioni legislative, le seste nell’arco di tre anni. Con il 24,7 per cento dei voti, la vittoria è andata al partito populista e di centrodestra Gerb dell’ex primo ministro Boyko Borisov, in carica per nove anni tra il 2009 e il 2021 e vero uomo forte della politica bulgara. A seguire il partito della minoranza turcofona Dps e la coalizione liberale tra Continuiamo il cambiamento e Bulgaria democratica (Pp-Db). L’affluenza è stata appena del 34,4 per cento, e il voto non ha di certo risolto i problemi d’instabilità del paese. “Anche se formalmente ci sono stati vincitori e sconfitti, in realtà hanno perso tutti”, scrive il settimanale bulgaro Kapital. “Alle urne sono andati poco più di due milioni di elettori, 400mila in meno rispetto al 2023. E l’astensione di tanti cittadini ha determinato un forte calo dei consensi per i partiti principali”. “Sarebbe stato molto meglio”, commenta il sito News.bg, “se l’accordo di governo tra Pp-Db e Gerb avesse tenuto e se la maggioranza fosse ancora in piedi. Anche se a volte funzionava a fatica, l’esecutivo aveva comunque un programma e lo stava realizzando. E la Bulgaria aveva significativamente migliorato la sua posizione in Europa”.


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Questo articolo è uscito sul numero 1567 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati