Quando mia figlia era piccola si lavava spesso le mani. A volte la prendevamo scherzosamente in giro per questo, dicendole che era “un po’ ossessivo-compulsiva”. Più tardi ci ha confidato di avere “brutti pensieri”, che supponevo fossero normali prodotti dell’immaginazione infantile. Le dicevo che tutti avevamo pensieri simili, e se li ignoravamo, se ne andavano.

Ma i suoi non andarono via. A 21 anni erano fuori controllo e sproporzionati rispetto alla realtà. Le fu diagnosticato un disturbo ossessivo-compulsivo (Doc) e mi resi finalmente conto che non si trattava di “un piccolo” problema.

Il Doc è complesso e spesso frainteso, e ci sono pochi modi per affrontarlo. Ma negli ultimi anni i meccanismi del cervello e del corpo che lo provocano sono stati finalmente individuati, rivelando un quadro complesso che coinvolge la genetica, varie reti cerebrali, il sistema immunitario e perfino i batteri del nostro intestino. Questa comprensione sta aprendo nuove possibilità di affrontare il disturbo.

Si stima che tra l’1 e il 3 per cento delle persone soffra di disturbo ossessivo-compulsivo, che in genere comincia a manifestarsi durante l’adolescenza o la prima età adulta. Come suggerisce il nome, è caratterizzato da ossessioni o pensieri intrusivi e compulsioni, cioè comportamenti impossibili da evitare. “I pensieri compulsivi catturano l’attenzione e prendono il sopravvento perché diventano un’abitudine”, spiega Barbara Sahakian dell’università di Cambridge.

Meccanismi di difesa

Le ossessioni sono idee, immagini o impulsi indesiderati che dominano i pensieri di chi ne soffre e sfidano qualsiasi sforzo per controllarli. Spesso riguardano pericoli o malattie, come l’eccessiva paura della contaminazione, un’estrema fissazione per l’ordine e la simmetria o la preoccupazione di perdere cose importanti.

Le compulsioni possono assumere molte forme: lavarsi di continuo, controllare le serrature o avere comportamenti superstiziosi come toccare un oggetto un certo numero di volte per impedire che succeda qualcosa di brutto. “Sono sintomi molto invalidanti e spiacevoli”, afferma Trevor Robbins, anche lui dell’università di Cambridge. Ma i pensieri intrusivi non vengono messi a tacere dall’acqua e dal sapone o dalla rassicurazione che sono solo pensieri.

Uno dei problemi della nostra comprensione del Doc è proprio il fatto che i pensieri ossessivi e le azioni compulsive fanno parte, in una certa misura, della vita quotidiana: tornare indietro per controllare di aver effettivamente chiuso a chiave la porta di casa, e non riuscire a smettere di pensare all’evento stressante della settimana successiva.

In effetti, molti sintomi del Doc rappresentano distorsioni di comportamenti utili o meccanismi di difesa, come evitare sostanze contaminate o controllare che il fuoco sia spento, che servono a garantire la nostra sicurezza. Ma quando questi pensieri diventano troppo frequenti o intensi e i rituali compulsivi così evidenti da interferire con le normali attività di un individuo, può essere diagnosticato il Doc. Chi ne soffre in modo grave può non essere in grado di uscire di casa, perché esegue i suoi rituali anche dodici ore al giorno, spiega Robbins.

Sabrina Komár

Attualmente il trattamento principale del disturbo ossessivo-compulsivo è una forma specializzata di terapia cognitivo-comportamentale (Tcc) chiamata esposizione e prevenzione della risposta, in cui l’individuo è gradualmente esposto a situazioni che scatenano il disturbo e impara ad affrontare il disagio. Si possono usare anche farmaci chiamati inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Ssri), comunemente impiegati per trattare depressione e ansia. Ma circa un terzo delle persone affette da Doc non risponde a questi farmaci, quindi si stanno cercando delle alternative.

Circuiti interrotti

Una pista che gli studiosi seguono fin dagli anni novanta è tentare di comprendere i meccanismi cerebrali alla base del disturbo. Sta emergendo un quadro sempre più chiaro dei circuiti coinvolti. La ricerca ha evidenziato l’importanza di alcune reti neuronali che contribuiscono a stabilire la priorità delle informazioni e a decidere in base a quali dovremmo agire. Noti come circuiti frontostriatali, collegano la parte anteriore della sezione più esterna del cervello, la corteccia, con una regione interna chiamata striato.

Uno di questi circuiti è correlato al comportamento orientato all’obiettivo, in cui valutiamo deliberatamente le informazioni e decidiamo come agire per ottenere un risultato. Un altro è coinvolto nei comportamenti abitudinari, che ci permette di eseguire certe azioni automaticamente. C’è una costante interazione tra questi circuiti, e la rete orientata agli obiettivi è in grado di inibire quella dedicata alle abitudini.

Nel Doc entrambi i sistemi possono essere compromessi, afferma Naomi Fineberg dell’università dell’Hertfordshire, nel Regno Unito: “C’è uno scarso controllo inibitorio”. Per esempio, la ridotta connettività nel circuito diretto all’obiettivo e l’iperconnettività nella rete delle abitudini sono entrambe associate ai sintomi più gravi.

Un terzo circuito agisce come meccanismo di controllo che fa da arbitro fra i sistemi orientati agli obiettivi e quelli delle abitudini, e assegna le priorità. “Questo consente principalmente un passaggio flessibile tra un sistema e l’altro”, spiega Robbins. “Se il circuito è compromesso, come sembra nel caso del Doc, è difficile staccarsi dal sistema delle abitudini, e questo spinge a compiere azioni ripetitive e potrebbe essere alla base del comportamento compulsivo”.

L’importanza di questo circuito arbitrale è stata messa in evidenza all’inizio del 2024 da uno studio condotto da Jun Soo Kwon dell’università nazionale di
Seoul, in Corea del Sud, e dai suoi colleghi. Nel corso dello studio alcune persone con e senza Doc sono state sottoposte a scansione cerebrale durante l’esecuzione di test cognitivi. I ricercatori hanno scoperto che la ridotta connettività nella rete cerebrale coinvolta nell’arbitrato era collegata alla gravità dei sintomi compulsivi.

Un altro tassello del puzzle è il ruolo dei neurotrasmettitori che guidano l’attività delle reti neurali. Un importante passo avanti nella nostra comprensione del loro ruolo è stato fatto nel 2023 grazie a uno studio che ha esaminato i livelli di due neurotrasmettitori chiave nel cervello delle persone: il glutammato, un neurotrasmettitore eccitatorio che migliora la comunicazione tra i neuroni, e l’acido gamma aminobutirrico (Gaba), che la smorza.

Usando una potente tecnica di scansione, Marjan Biria (ora allo University college London), Robbins e i loro colleghi si sono concentrati su due regioni specifiche del cervello: la corteccia cingolata anteriore e l’area motoria supplementare, entrambe coinvolte nel controllo dell’equilibrio tra obiettivi coscienti e abitudini più automatiche. E hanno scoperto che nella corteccia cingolata anteriore le persone affette da Doc avevano livelli più alti di glutammato e livelli più bassi di gaba rispetto alle persone che non ne soffrivano.

Dallo studio è emerso anche che la gravità dei sintomi e la tendenza al comportamento compulsivo erano correlati a livelli più alti di glutammato nell’area motoria supplementare. L’abbondanza di neurotrasmettitori eccitatori in queste regioni può renderle iperattive, favorendo il comportamento compulsivo.

Causa o effetto

Questi risultati confermano una sorprendente interpretazione alternativa del Doc emersa negli ultimi anni. La spiegazione tradizionale è che i pensieri ossessivi provocano rituali compulsivi eseguiti per controllare o ridurre lo stress. L’ipotesi alternativa capovolge questo aspetto: l’idea è che le ossessioni possano sorgere come razionalizzazioni successive del comportamento compulsivo. In altre parole, è possibile che le abitudini compulsive siano la causa delle convinzioni e delle preoccupazioni irrazionali, non il contrario.

Lo ha dimostrato uno studio del 2014 in cui i partecipanti con e senza Doc sono stati addestrati a sviluppare nuove abitudini. Per evitare di ricevere una scossa al polso, dovevano premere un pedale quando vedevano un quadrato sullo schermo di un computer. In seguito la scossa è stata scollegata dal polso, quindi non c’era più bisogno di premere il pedale per evitare il dolore. Ma i soggetti affetti da Doc, a differenza di quelli senza, continuavano a premere sul pedale quando vedevano il quadrato, anche se dicevano di sapere che non avrebbero più ricevuto la scossa.

Quando gli è stato chiesto perché lo facevano, alcuni hanno inventato spiegazioni per il loro comportamento, come “pensavo che in qualche modo potesse comunque arrivarmi una scossa”, anche se in precedenza avevano detto di sapere che non sarebbe successo. Una spiegazione per questa discrepanza è che quando compiamo un’azione che non ha più senso il nostro cervello può inventare un motivo che fa sembrare logico il nostro comportamento.

Questo solleva di nuovo la questione del perché alcune persone tendono al disturbo ossessivo-compulsivo più di altre. Anche qui alcuni fattori stanno diventando più chiari. Sappiamo da tempo che la genetica svolge un ruolo importante, perché il Doc tende a manifestarsi più volte nella stessa famiglia e i parenti più vicini agli individui che ne sono affetti presentano un rischio da quattro a otto volte maggiore delle norma di sviluppare la malattia.

In effetti, metà di questo rischio è legato ai geni. Uno studio del 2024 non ancora sottoposto a revisione paritaria individua alcuni dettagli. Analizzando i genomi di quasi 40mila persone che soffrono di Doc, ha individuato quindici firme genetiche associate al disturbo, comprese alcune per le proteine che influiscono sul funzionamento e lo sviluppo del cervello. Curiosamente, una delle altre firme identificate è associata ai geni per il complesso maggiore di istocompatibilità, una regione del dna che svolge un ruolo importante nel sistema immunitario ed è stata collegata ad altri problemi di salute mentale, come la schizofrenia e il disturbo bipolare.

Reazione immunitaria

Questa scoperta si aggiunge alle prove secondo cui il sistema immunitario è uno dei fattori che determinano il Doc. Sembra che influenzi alcune reti cerebrali le quali, a loro volta, potenziano i comportamenti compulsivi. Un esempio sono due disturbi correlati chiamati sindrome neuropsichiatrica infantile a insorgenza acuta (Pans) e disturbo pediatrico autoimmune associato a infezioni da streptococco (Pandas): a quanto sembra, i bambini possono mostrare improvvisamente sintomi di Doc, ansia o tic in risposta a un’infezione.

Le foto di questo articolo

◆ Le foto di queste pagine sono tratte dalla serie [inside], della fotografa ungherese Sabrina Komár. Komár è affetta da disturbo ossessivo-compulsivo e depressione ed esce raramente di casa, ma durante la pandemia di covid-19 ha spinto all’estremo il suo isolamento per paura della contaminazione.


“Nel caso di Pans e Pandas, i sintomi gravi del Doc possono comparire nel giro di poche ore”, afferma Fulvio D’Acquisto dell’università di Roehampton, nel Regno Unito. Sembra che una reazione immunitaria possa causare un’infiammazione e compromettere una regione cerebrale fortemente implicata nel Doc come i gangli della base, di cui fa parte lo striato.

Un’altra conferma del ruolo del sistema immunitario è arrivata nel 2023 quando un team di ricercatori, tra cui D’Acquisto, ha scoperto che le persone affette da questo disturbo presentano livelli di attività più alti nel gene per una proteina prodotta dalle cellule immunitarie chiamata immunomodulina (Imod).

D’Acquisto e i suoi colleghi avevano scoperto questa proteina per caso qualche anno prima mentre lavoravano su topi che tendono a scavare in modo compulsivo, e avevano scoperto che questo comportamento era collegato ad alti livelli di Imod. La loro ricerca, che sarà pubblicata a breve, suggerisce l’esistenza di un meccanismo che spiega l’effetto della proteina: un’infezione provoca un suo aumento temporaneo e un accumulo nel cervello, alterando il funzionamento delle cellule neuronali.

Nei topi gli anticorpi contro l’immunomodulina riducono i comportamenti compulsivi, quindi si ipotizza che possano funzionare anche negli esseri umani. Attualmente sono in corso tentativi per svilupparne una versione umana, con l’obiettivo di testarla come potenziale nuovo trattamento per il Doc.

Terapia psichedelica

Ma è solo una delle tante strade esplorate. Tra queste ci sono tecniche di stimolazione cerebrale, applicazioni per telefoni e perfino cambiamenti della dieta, perché stanno emergendo prove che anche i microbi intestinali svolgono un ruolo importante.

Una delle nuove idee è usare la chetamina. Questa sostanza anestetica provoca sensazioni di dissociazione, e se ne sta sperimentando l’uso per trattare problemi cerebrali e di salute mentale. Per esempio, Carolyn Rodriguez e i suoi colleghi dell’università di Stanford, in California, hanno scoperto che l’assunzione di chetamina ha portato a un rapido miglioramento dei sintomi del Doc. In un altro studio che sarà pubblicato a breve, i ricercatori hanno scoperto che una singola infusione endovenosa allevia i sintomi per circa tre settimane. Rodriguez sta ora esplorando i meccanismi biochimici attraverso i quali agisce il farmaco.

Crisi adolescenziali
Comparsa dei primi sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo, percentuale cumulata (Ruscio et al. Molecular Psychiatry)

Ma la chetamina provoca assuefazione e ha gravi effetti collaterali, quindi non è una bacchetta magica. “Non sto dicendo che le persone affette da Doc dovrebbero correre a comprare la chetamina”, afferma Rodriguez, che è una sostenitrice della terapia cognitivo-comportamentale (Tcc). Per fare un paragone, se una persona si rompesse un braccio, avrebbe bisogno di ingessarlo in convalescenza, dice. “Penso alla terapia come al gesso e alla chetamina come un modo per alleviare il dolore durante l’ingessatura”.

Si ritiene che la chetamina funzioni perché aumenta la neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di rimodellarsi, e così facendo allenta il pensiero rigido che caratterizza il Doc e rende chi soffre di questa patologia più ricettivo alla terapia cognitivo-comportamentale.

Per ragioni simili, nel Regno Unito e negli Stati Uniti anche la psilocibina, il principio attivo dei funghi allucinogeni, è in fase di sperimentazione clinica per il Doc. All’interno del corpo, viene convertita in una molecola che si lega a uno specifico recettore del cervello per il neurotrasmettitore serotonina, quindi può agire in modo simile agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (ssri) e contribuire a sbloccare alcuni schemi di pensiero. “Se aumenti la serotonina, diventi più flessibile”, afferma Robbins. Per trovare nuovi trattamenti si stanno anche valutando farmaci esistenti usati per altri problemi di salute mentale, in particolare quelli che agiscono sui percorsi del glutammato nel cervello. Un buon esempio è il riluzolo, un farmaco per il trattamento della malattia dei motoneuroni. I primi studi hanno dimostrato che è utile nella cura del Doc resistente al trattamento con ssri e terapia cognitivo-comportamentale. L’azienda farmaceutica Biohaven sta lavorando allo sviluppo di un farmaco simile, il troriluzolo, con meno effetti collaterali.

Nuovi trattamenti sono indispensabili perché, per il 10 per cento delle persone con Doc grave che non rispondono alla Tcc o agli Ssri, la principale soluzione è la chirurgia. Una possibilità è la cingulotomia anteriore, cioè creare una lesione permanente nell’area profonda del cervello coinvolta nei comportamenti ossessivo compulsivi. In alternativa c’è la stimolazione cerebrale profonda (Dbs), in cui si inseriscono sottili elettrodi in questa parte del cervello, un modo meno permanente per imitare una lesione e interrompere il flusso di informazioni.

Circa due terzi delle persone trattate con la stimolazione cerebrale profonda vedono una marcata riduzione dei sintomi. Ma è un trattamento invasivo e presenta il rischio di infezioni, convulsioni ed emorragia. Questi inconvenienti si potranno forse evitare grazie a una nuova tecnica non chirurgica per stimolare l’attività neurale in profondità nel cervello, chiamata stimolazione transcranica temporale interferente (Tttis). In questo caso, degli elettrodi attaccati al cuoio capelluto trasmettono segnali a frequenze diverse a una particolare regione cerebrale profonda.

Quando interferiscono tra loro, questi segnali alterano l’attività neurale. Da uno studio condotto a maggio del 2024 è emerso che potrebbe colpire selettivamente lo striato.

Rilassare il cervello

Nel frattempo si stanno diffondendo altre tecniche non invasive per alterare i percorsi neurali nelle parti esterne del cervello, attraverso la stimolazione magnetica o elettrica. Questi dispositivi sono composti da elettrodi o bobine elettromagnetiche che vanno posizionati sulla parte superiore del cranio. L’effetto, percepito come un ronzio, può essere adattato al circuito cerebrale del singolo individuo, cosa che è possibile fare con sempre maggiore precisione ora che abbiamo una comprensione più chiara delle reti cerebrali associate ai sintomi del Doc.

Una metanalisi del 2023 di 25 studi sulla cosiddetta stimolazione magnetica transcranica (Tms) ha scoperto che “ha un effetto terapeutico moderato sulla gravità dei sintomi del Doc”. Gli effetti sono lievi, dice Fineberg, ma “forse può contribuire a rilassare il cervello in modo da poter usare la terapia cognitivo-comportamentale”.

Robbins è più ottimista sul potenziale della stimolazione magnetica transcranica, soprattutto perché sono in corso studi per stabilire le migliori aree cerebrali da colpire e le dosi ottimali per alleviare i sintomi. “La cosa interessante è che regola il cosiddetto equilibrio inibitorio nella corteccia, che nel Doc è alterato”, spiega.

Il risultato di tutte queste indagini sui meccanismi alla base del Doc è che in futuro i medici dovrebbero avere nuovi strumenti per curare il disturbo. “Il Doc non è una malattia neurodegenerativa che danneggia il cervello”, dice Robbins. “È solo che il cervello non funziona come dovrebbe”.

Anche Rodriguez è ottimista: “Sono fiduciosa per il futuro dei bambini che oggi ne soffrono”, dice. “La tecnologia sta facendo passi da gigante”.

Quando chiedo a mia figlia cosa pensa di queste nuove possibilità, anche lei si dice fiduciosa. “Sapere che ci potranno essere cose alla mia portata per alleviare i sintomi del Doc mi è di grande aiuto”, dice. “Mi fa sentire più in controllo”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati