L’esercizio dell’autorità pubblica è sempre stato influenzato dalle tecnologie disponibili. Dalla stampa al telegrafo, dalla radio all’email, le nuove invenzioni hanno determinato chi prende le decisioni e come. Succede anche nell’era dello smartphone, un oggetto apparentemente indispensabile nella vita professionale delle persone di potere e dei politici. “Ne ho bisogno per essere in contatto con gli altri”, disse l’ex primo ministro britannico Boris Johnson durante la pandemia di covid-19. Lo stile comunicativo del premier fu chiaro quando il suo consulente Dominic Cummings lasciò trapelare i suoi messaggi, in particolare uno in cui il ministro della sanità dell’epoca era definito “totally f…ing hopeless”, cioè più o meno “un idiota senza speranza”.

Il Regno Unito non è un caso isolato. Le preoccupazioni per questa nuova arte di governare dal telefono sono molto diffuse. A Bruxelles aleggia ancora l’ombra dello “Pfizergate” sulla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Lo scandalo nasce da un articolo del New York Times dell’aprile 2021, secondo cui l’accordo tra l’Unione europea e la Pfizer per il vaccino contro il covid era stato negoziato in una serie di messaggi e telefonate tra von der Leyen e l’amministratore delegato dell’azienda farmaceutica. Il sospetto di trattative private su una questione di così grande rilievo ha portato alla richiesta di rendere pubblici i messaggi. Visto che la Commissione non li ha pubblicati, il mediatore europeo (l’autorità che indaga sulle denunce di cattiva amministrazione) lo ha segnalato come un caso sospetto.

Giorgia Meloni, Charles Michel, Emmanuel Macron e Rishi Sunak al G7 di Hiroshima. Giappone, 19 maggio 2023 (Simon Dawson, No 10 Downing Street/Eyevine/Contrasto)

Le critiche al “governo dei messaggi” tendono a concentrarsi sulla questione dell’accesso alle informazioni. Le autorità si occupano di affari importanti che evidentemente in questo modo vengono nascoste ai cittadini, quindi ci sono preoccupazioni sulla trasparenza. Il fatto che i servizi di messaggistica istantanea di solito sono gestiti da grandi aziende private è chiaramente un altro aspetto del problema. Poi ci sono le questioni di sicurezza, sollevate per esempio quando il presidente statunitense Barack Obama si è portato il suo telefono Blackberry personale alla Casa Bianca. Ma il punto è anche il modo in cui vengono prese le decisioni. Spostandosi da una sala riunioni allo spazio virtuale di una chat di gruppo, le discussioni passano in una dimensione più informale, dove i confini etici sono più sfumati.

Prendiamo alcune funzioni di questa tecnologia. A differenza di una riunione in presenza, la messaggistica istantanea è una forma d’interazione senza un inizio o una fine definiti. Le conversazioni cominciano su iniziativa di una parte e prevedono risposte rapide. Un caso avvenuto in Spagna durante il picco della pandemia offre un esempio dei rischi. A quanto pare il 24 marzo 2020 il sindaco di Madrid José Luis Martínez-Almeida chiuse un accordo per la fornitura di materiale sanitario attraverso un breve scambio su WhatsApp all’una di notte. Un assessore fu escluso dalla trattativa perché non aveva controllato il telefono, mentre altri si lamentarono della fretta con cui fu concluso l’accordo. Successivamente sono emersi alcuni dettagli imbarazzanti: nell’affare era coinvolto un parente del sindaco, i materiali erano costosissimi ed erano state applicate commissioni esorbitanti, tanto che il contratto è stato poi considerato una truffa. Almeida ha ammesso l’errore, ma ha difeso l’iniziativa in un momento in cui era molto difficile procurarsi il materiale. Più tardi un tribunale ha aperto un procedimento per corruzione nei confronti dei fornitori.

Fuori dalla stanza

A causa della natura spontanea della messaggistica istantanea spesso le persone coinvolte in una chat sono colte mentre sono impegnate in altre attività o sono in situazioni informali. È un mezzo di comunicazione basato sulla distrazione e l’immediatezza. Naturalmente, molto dipende da come è usata la tecnologia. Non tutti scrivono messaggi quando sono in pigiama o mentre guardano la tv, ma non c’è nulla che garantisca il contrario.

In ballo ci sono questioni di potere. Le chat permettono ai leader di escludere collaboratori ufficiali e funzionari che possono influenzare le loro decisioni. Personaggi scomodi possono essere lasciati fuori, mentre possono essere coinvolti giornalisti amici o persone fidate. Le aziende possono far pesare i loro interessi economici. È una tecnologia che sembra fatta apposta per aggirare le gerarchie e creare reti-ombra d’influenza che non sempre si notano. Persone che in una riunione in presenza resterebbero fuori dalla porta possono essere “dentro la stanza” in un contesto virtuale, mentre eventuali assenze che salterebbero all’occhio di persona possono essere facilmente ignorate.

La tipica risposta delle autorità è che niente d’importante viene deciso in questo modo. Nell’estate del 2022, rispondendo al mediatore europeo, la Commissione europea ha dichiarato: “Per la loro natura momentanea ed effimera, i messaggi di testo e le chat generalmente non contengono informazioni importanti su politiche, attività e decisioni della Commissione”. Possiamo immaginare vari usi della messaggistica: se a un estremo ci sono le decisioni vere e proprie, all’altro ci sono quelle che potremmo definire “chiacchiere innocenti”, e nel mezzo c’è una zona grigia in cui ricade tutto il resto (condivisione di informazioni, reti di relazioni, critiche ai colleghi). E ormai abbiamo imparato che in questo modo si possono prendere decisioni importanti.

Queste tecnologie tendono a dissolvere i confini tra il formale e l’informale tra le istituzioni, e tra l’attività di governo e il mondo esterno. La politica si è sempre affidata a rituali per rafforzare la separazione tra ruoli e persone. La corona del re, la struttura del parlamento, le consuetudini sull’abbigliamento e la disposizione dello spazio servono a dare solennità e autorevolezza a una situazione, facendo in modo che chi partecipa senta di rappresentare un interesse più grande: un gruppo sociale, un’istituzione, il bene pubblico. Alcuni rituali possono essere replicati nella comunicazione digitale, molti altri no. Due o più persone che comunicano attraverso gli strumenti digitali si trovano senza i segnali contestuali che in altre situazioni servono a spersonalizzare il loro incontro. La confidenza prende il sopravvento.

Governare via chat è il sintomo di un fenomeno più ampio, quello di un mondo in cui decisioni politiche fondamentali sono prese informalmente e dove il potere si concentra nelle mani di pochi individui chiave e delle reti che formano. Spesso pensiamo alla politica come a un insieme di istituzioni regolate da una logica burocratica, ma questo quadro può essere fuorviante. Dalla politica interna alla politica estera, c’è una lunga storia di “de-istituzionalizzazione” del potere in cui le autorità agiscono a propria discrezione e i legami di fiducia prevalgono sulla distinzione formale dei ruoli. È così che si forma un’élite dominante. Forse i lockdown hanno alimentato questa tendenza, ma lo schema è ormai consolidato. Che si parli di immigrazione, inflazione o Israele, la domanda fondamentale sarà quale gruppo WhatsApp se ne sta occupando.

Falsa sicurezza

Cosa c’è di veramente nuovo in tutto questo? Una vecchia preoccupazione della politica è che le conversazioni importanti si svolgono nei corridoi, dove nulla è messo agli atti. Possiamo supporre che la messaggistica piaccia perché consente a chi è in una posizione di potere di fare quello che già tende a fare di solito. E allora, quanta importanza dobbiamo dare alla tecnologia? Non è solo l’ultimo modo di fare quello che si è sempre fatto?

Che si parli di Israele o immigrazione, la domanda è quale chat se ne sta occupando

Uno dei tratti distintivi di questa tecnologia è che rende più tracciabili gli schemi di comportamento. I messaggi si possono cancellare, dando una momentanea sensazione di controllo, ma non c’è nessuna certezza che nel frattempo non siano stati copiati o condivisi da uno o più interlocutori. Come abbiamo visto, il pericolo di una fuga di notizie è sempre dietro l’angolo.

Per questo il ricorso alla tecnologia è un problema. Certo, è irresistibilmente comoda. Spesso è anche socialmente e psicologicamente gratificante, perché far parte di una “cerchia ristretta” vuol dire conoscenza e prestigio. D’altra parte, la tracciabilità espone queste comunicazioni a rischi evidenti, perché quando arrivano all’attenzione dei cittadini – quando i giornali scrivono della “diplomazia personale” di un politico – provocano malcontento e danneggiano la reputazione. Questi inconvenienti sono ampiamente prevedibili. Von der Leyen era stata coinvolta in uno scandalo sulla trasparenza dell’uso del telefono già quando era ministra della difesa a Berlino. Anche se in quell’occasione fu scagionata da ogni responsabilità, è impossibile che non fosse consapevole delle trappole della messaggistica.

Se si usa la tecnologia malgrado i rischi, possiamo trarre delle conclusioni sulle priorità di chi è al potere. I metodi informali piacciono perché chi li usa sembra più interessato a ottenere risultati “tangibili” che a rispettare le regole democratiche. I politologi distinguono tra la legittimità dei buoni risultati e quella dei buoni metodi, tra efficacia e legittimità procedurale. La prevalenza della messaggistica istantanea riflette il predominio della prima sulla seconda.

La legittimità del risultato è sempre stata centrale per le istituzioni. Rispecchia la centralità della tecnocrazia in contesti come l’Unione europea, dove risolvere i problemi è fondamentale per l’autorità pubblica. Con il passare del tempo, però, questa prospettiva è diventata centrale anche nei contesti nazionali. Con l’indebolimento dei partiti e della politica organizzata, i rappresentanti dei cittadini tendono a sottolineare più la propria capacità di agire in modo efficace che quella di rispettare le regole. Consapevoli che parti consistenti dell’elettorato sono attratte da metodi tecnocratici, populisti o “tecno-populisti” di perseguire il bene pubblico senza mediazioni, spesso anche i politici si mostrano insofferenti verso le procedure e tendono a voler dimostrare la propria capacità di risolvere i problemi. In questo senso, la messaggistica istantanea aiuta a capire meglio la prospettiva dei politici. Proprio per i rischi che comporta, rivela la loro propensione a usare metodi di governo irregolari pur di ottenere risultati.

Tutto questo ha una serie di implicazioni sulle possibili restrizioni da applicare a questi metodi. I riformatori invocano spesso regole più vincolanti per la tecnologia. Il mediatore europeo ha chiesto che i messaggi istantanei siano riconosciuti come documenti dell’Unione europea, conservati e resi disponibili per la consultazione. Regole più severe sull’uso delle tecnologie di comunicazione esistono già in settori come quello finanziario, a dimostrazione del fatto che le restrizioni possono essere applicate dove c’è la volontà politica.

Queste iniziative, tuttavia, non tengono conto di come la tecnologia è collegata al dilagare di forme irregolari di esercizio del potere. Se una tecnologia viene resa più trasparente ne verranno adottate altre che possano sostituirla. Per cambiare davvero le cose bisogna partire dalle condizioni di fondo che rendono attraente l’uso inappropriato della tecnologia, riequilibrando in particolare gli standard di legittimità che le autorità sono chiamate a rispettare. Invece di concentrarsi in modo tecnocratico sui “risultati”, bisognerebbe rilanciare un modello di governo che valorizzi la partecipazione e la vigilanza allargata. Questo significa rafforzare i meccanismi costituzionali, facendo sì che i leader siano legati a istituzioni e organizzazioni democratiche in grado di sanzionarli per le loro trasgressioni.

L’abitudine di governare via chat rende i guasti della politica contemporanea più estremi e più tracciabili, ma non è il cuore del problema. Non sarà scoraggiata da regole di buona condotta né da fughe di notizie arbitrarie o motivate. L’unico modo di affrontare il problema di fondo è costruire strutture che lascino ai singoli meno potere discrezionale. ◆ fas

Jonathan White insegna scienze politiche alla London school of economics and political science.

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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati