Negli ultimi mesi l’Ucraina ha subìto la pressione crescente dei suoi alleati occidentali per arruolare i giovani con meno di venticinque anni. Questo perché la legge sulla mobilitazione, approvata ad aprile del 2024, non ha ottenuto il numero previsto di reclute. Anche l’abbassamento dei requisiti medici – per consentire il servizio militare a uomini sieropositivi o che avevano avuto la tubercolosi – non ha aiutato molto. Anche alcuni funzionari ucraini come Roman Kostenko, segretario del comitato parlamentare per la sicurezza, hanno insistito per abbassare l’età di leva. Kostenko ha detto che gli Stati Uniti gli chiedono di continuo perché il governo di Kiev chiede armi ma non è disposto a mobilitare i giovani.
Finora il presidente Volodymyr Zelenskyj non ha ceduto alle pressioni. In parte perché sacrificare in massa giovani uomini in un conflitto prolungato rischia di condannare l’Ucraina a un futuro ancora più cupo, in cui il declino demografico renderà ancora più difficile la ricostruzione economica, sociale e politica.
Ma il presidente ucraino teme anche la rabbia dell’opinione pubblica. Tra gli ucraini c’è una crescente e palpabile riluttanza a combattere. Ed esiste nonostante il fatto che i leader politici e la società civile presentino la guerra come una lotta per la sopravvivenza. Dopo tre anni di conflitto molti ucraini sono davvero stanchi, e non è solo perché stanno esaurendo le energie. La stanchezza deriva da fratture profonde nel paese che il conflitto ha solo approfondito.
Il contratto sociale postsovietico
Come in tutti gli stati postsovietici e postcomunisti, negli anni novanta del novecento è emerso un nuovo contratto sociale che rifletteva il cambiamento della realtà sociale e politica ucraina. Le relazioni tra stato e cittadino si sono ridotte a questo: lo stato non ti aiuterà, ma in cambio non ti farà del male.
Nel frattempo le “rivoluzioni di Maidan” (le rivolte europeiste del 2004 e del 2014) hanno animato la scena politica. Le opportunità che hanno creato sono state ripetutamente strumentalizzate da gruppi ristretti – oligarchi, classe media e potenze straniere – escludendo ampie porzioni della società ucraina, i cui interessi sono stati messi in secondo piano. Prima del 2022 la situazione appariva a molti ucraini tollerabile, almeno fino a un certo punto. Le frontiere erano aperte e così milioni di persone potevano emigrare. Nel 2021 l’Ucraina era all’ottavo posto nella classifica dei paesi con il maggior numero di emigranti: più di 600mila solo quell’anno. Le rimesse permettevano a chi rimaneva di mantenere uno standard di vita accettabile. Ma a lungo termine questa via non è più sembrata sostenibile. Nel 2020 il primo ministro Denys Šmyhal ha ammesso che nel giro di quindici anni lo stato avrebbe avuto difficoltà a pagare le pensioni.
Gli ucraini non si erano sorpresi. La notizia era stata accolta come un altro segnale della necessità di risparmiare dollari statunitensi per cercare di emigrare. La guerra ha messo alla prova il già debole contratto sociale. All’improvviso uno stato a malapena presente nella vita dei cittadini gli chiedeva di sacrificarsi per la sua sopravvivenza.

Dopo l’iniziale fallimento dell’invasione russa, un’ondata di unità aveva alimentato l’entusiasmo di molti che erano partiti volontari per il fronte. Ma con la continuazione della guerra è emersa una dura consapevolezza: il fatto che lo stato stesse distribuendo oneri e benefici in modo disuguale. Mentre alcuni segmenti della società guadagnavano materialmente o politicamente dal conflitto, altri erano sottoposti a sacrifici sproporzionati, alimentando un senso di alienazione all’interno di gran parte della popolazione ucraina. Lo stato ha fatto poco per rafforzare le sue relazioni con i cittadini di fronte al declino dello slancio bellico. Invece i funzionari governativi hanno martellato la popolazione con messaggi sull’importanza di essere autosufficienti. Nel settembre 2023 la ministra delle politiche sociali Oksana Žolnovyčová ha invitato a non dipendere dai sussidi, che trasformano i cittadini in “bambini”. Ha proposto un “nuovo contratto sociale” che prevede dei tagli alla spesa sociale e una vita in cui i cittadini imparino a “nuotare autonomamente”. Nel settembre 2024 il governo ha annunciato che nel 2025 non avrebbe aumentato né il salario minimo né i contributi previdenziali, nonostante l’inflazione avesse raggiunto il 12 per cento.
Al terzo anno di guerra le conseguenze di questo debole contratto sociale stanno diventando sempre più evidenti. Dire che si sta combattendo una guerra per la propria esistenza non basta più a conquistare i cuori della maggior parte degli ucraini.
Lo spiega bene una persona che raccoglie fondi per attrezzature militari non letali, invece che per droni o altre armi, perché crede che “lo stato abbia completamente fallito nel suo ruolo più delicato di prevenire la guerra. Non capisco perché questa guerra debba diventare la mia nel vero senso della parola”. Dice anche di aver trovato difficile parlare apertamente delle sue opinioni: “Quando vuoi vivere tranquillo, dici la tua solo in circoli ristretti. Altrimenti devi rinunciare a tutte le ambizioni e a parte della tua identità, o alla fine prendere in considerazione di emigrare, perché questo paese lo sentirai completamente estraneo”.
Tensione socioeconomica
L’atteggiamento secondo cui questa non è “la mia guerra” si nota nei sondaggi condotti nell’ultimo anno, in cui una maggioranza silenziosa non sembra pronta alla mobilitazione. In un sondaggio dell’aprile 2024 solo il 10 per cento degli intervistati ha affermato che la maggior parte dei loro parenti era disposta a combattere. Un’inchiesta di giugno ha mostrato che solo il 32 per cento “sosteneva in tutto o in parte” la nuova legge sulla mobilitazione; il 52 per cento era contrario e il resto si rifiutava di rispondere. A luglio solo il 32 per cento non era d’accordo con l’affermazione “La mobilitazione avrà l’unico effetto di aumentare i morti”. E secondo un altro sondaggio solo il 29 per cento considerava vergognoso sottrarsi all’arruolamento.
In questi sondaggi si può vedere un andamento regolare: le persone favorevoli a continuare o rafforzare la coscrizione sono solo circa un terzo della popolazione; una minoranza significativa evita di rispondere direttamente a queste domande, come indica il gran numero dei “non so”; mentre il resto è apertamente contrario alla mobilitazione.

Queste reazioni possono sembrare in contrasto con i risultati dei sondaggi sulla “vittoria”. La maggior parte indica ancora che “vittoria” per l’Ucraina dovrebbe significare il recupero di tutti i territori secondo i confini del 1991 e il rifiuto di qualsiasi concessione alla Russia.
Ma non c’è nessuna contraddizione. È evidente che la maggior parte degli ucraini, pur desiderando la “vittoria totale”, non è disposta a sacrificare la vita per questo obiettivo e capisce chi prova lo stesso sentimento. Ecco perché la maggioranza è favorevole a una pace negoziata il prima possibile. La mancanza di motivazione a combattere è evidente anche nei tassi di renitenza alla leva. Secondo la legge sulla mobilitazione dell’aprile 2024, tutti gli uomini idonei alla mobilitazione dovevano presentare i loro dati ai centri di reclutamento entro il 17 luglio. Alla scadenza solo quattro milioni di uomini lo avevano fatto, altri sei milioni no.
E diversi funzionari hanno detto che tra chi aveva comunicato i propri dati, molti (dal 50 all’80 per cento) dichiaravano di avere problemi medici o di altro tipo, che gli davano il diritto di evitare la mobilitazione.
Nel frattempo su Telegram si sono moltiplicati gruppi e canali che segnalano la presenza di agenti addetti alla mobilitazione in certe aree; hanno continuato a funzionare nonostante alcuni membri dei gruppi siano stati arrestati. Finora le autorità di mobilitazione hanno avviato indagini contro cinquecentomila uomini per il reato di renitenza alla leva.

Questi dati rivelano non solo la portata della crisi della motivazione, ma anche quanto la guerra abbia enormemente approfondito le divisioni di classe. Nel 2024 le notizie di funzionari corrotti da chi voleva evitare il servizio militare sono state all’ordine del giorno. All’inizio di ottobre del 2024 si è saputo di un alto funzionario medico, che era stato consigliere comunale per il partito di governo Servitore del popolo, che ha accumulato una fortuna vendendo falsi certificati d’invalidità per facilitare l’elusione del servizio di leva. La polizia locale ha dichiarato di aver trovato sei milioni di dollari in contanti e ha diffuso la foto di un suo familiare su un letto coperto di dollari.
Meno di due settimane dopo i mezzi d’informazione ucraini hanno riferito che quasi tutti i pubblici ministeri nella regione in cui agiva il medico avevano un certificato di disabilità. All’indomani dello scandalo Zelenskyj ha licenziato alcuni funzionari e ha abolito trionfalmente l’istituzione responsabile della distribuzione dei certificati. Le domande scomode su come mai nessun alto funzionario si era accorto della corruzione sono state evitate. Chi non ha migliaia di dollari per pagarsi un’esenzione o per corrompere la polizia di frontiera tenta viaggi pericolosi ai confini occidentali dell’Ucraina. Per questo una parte significativa del contingente di frontiera ucraino è schierata sui “pacifici” confini occidentali.
Dal 2022 nel fiume Tibisco, al confine con la Romania e l’Ungheria, 45 cittadini ucraini sono annegati in tentativi di fuga disperati. Ci sono state persone che, tentando la fuga, sono state uccise a colpi di arma da fuoco dalla pattuglia di frontiera del loro paese. A marzo del 2024 è diventato virale il video di una guardia di frontiera che spara all’impazzata nel fiume per mostrare cosa avrebbe fatto a chi cercava di eludere il servizio di leva. Una volta decine di uomini hanno tentato di attraversare il confine tutti insieme. Quando sono stati catturati, le fotografie di questi “vergognosi disertori” sono state pubblicate sui social media, accompagnate da didascalie in cui si diceva che erano poi stati mandati al fronte.
Quindi chi si trova in prima linea di solito o è troppo povero o abbastanza sfortunato da essere stato catturato dagli ufficiali incaricati della leva. Come ha detto la parlamentare Marjana Bezuhla dopo aver visitato le linee del fronte a settembre del 2024, chi era lì a combattere era principalmente chi non poteva “decidere di fare quello che voleva” pagando una tangente. In un’intervista televisiva di novembre un comandante dell’esercito ha affermato che il 90 per cento degli uomini al fronte sono “persone di campagna mobilitate con la forza”.
Gli ufficiali dell’esercito spesso si lamentano della bassa qualità di queste truppe “bussizzate”: il termine si riferisce ai minibus in cui sono trascinati gli uomini in età di leva prelevati in strada. Non c’è da stupirsi delle centinaia di attacchi incendiari contro questi veicoli. L’effetto di questa coercizione violenta commessa su persone per lo più economicamente svantaggiate è il morale estremamente basso in prima linea. A novembre del 2024 c’erano quattro soldati mobilitati per ogni volontario. Le diserzioni di massa hanno portato a continue ritirate. A gennaio del 2025 alcuni rapporti parlavano di centinaia di uomini “bussizzati” che hanno disertato prima ancora di essere schierati per fermare l’avanzata dei russi vicino a Pokrovsk. In un post su Facebook di luglio un giornalista ucraino arruolato si è lamentato della mancanza di patriottismo tra i suoi compagni. Ha scritto che la maggior parte delle persone con cui ha prestato servizio venivano da regioni povere e rurali ed erano più interessate a discutere della corruzione del governo che di qualsiasi altra cosa. I suoi discorsi sul patriottismo non sono riusciti a convincerli: “Una parte significativa della popolazione dichiara apertamente: ‘Nella mia vita l’unica cosa che lo stato mi ha dato è un kalashnikov. Perché dovrei essere un patriota?’”, ha osservato.
La maggior parte degli ucraini non è disposta a sacrificare la vita per la “vittoria totale”
Di sicuro questi soldati conoscono bene la realtà della guerra. Non sono dei civili, stanchi delle immagini provenienti dalla prima linea e trasmesse in tv. Ma hanno buone ragioni per essere diffidenti verso gli imperativi patriottici. I problemi morali sono aggravati dagli abusi subiti dalle reclute durante l’arruolamento forzato. Ogni mese si sente dire di qualcuno picchiato brutalmente nei centri di mobilitazione. A dicembre i mezzi d’informazione hanno rivelato torture sistematiche ed estorsioni nelle file dell’esercito. In un’intervista di settembre con una testata locale, l’ufficiale ucraino Jusuf Valyd ha affermato che il 90 per cento degli ufficiali tratta i soldati di leva “come animali”. Valyd ha anche affermato che la generazione dei nati negli anni ottanta e novanta è “senza speranza” per quanto riguarda il sentimento patriottico: pensano solo alla sopravvivenza economica. Non c’è da sorprendersi, dato che il contratto sociale postsovietico ha convinto gli individui a concentrarsi sulla propria sopravvivenza invece che contare sul sostegno dello stato.
Ipocrisia e retorica
Mentre uomini poveri di campagna sono costretti a combattere in prima linea, c’è una minoranza urbana benestante che vive una vita relativamente sicura e confortevole a Kiev e a Leopoli. Questa “élite guerriera” – composta da attivisti, intellettuali, giornalisti e lavoratori delle ong – sostiene che l’Ucraina deve combattere fino alla vittoria. Eppure sembra che molti appartenenti a questa élite siano riluttanti a unirsi alla prima linea. Alcuni famosi giornalisti e nazionalisti hanno invitato alla mobilitazione di massa, chiedendo allo stesso tempo di essere esentati per motivi medici o di altro tipo.
Tra loro ci sono Juryj Butusov, un giornalista militare molto noto, che ha chiesto un’esenzione perché è padre di tre figli, e Serhyj Sternenko, un attivista nazionalista che l’ha chiesta per disabilità a causa di “difetti alla vista”.
Nel giugno 2024 ai dipendenti di 133 ong e aziende beneficiarie di finanziamenti esteri è stata concessa l’esenzione ufficiale dalla mobilitazione. Molte di queste organizzazioni non svolgono nessun compito nella manutenzione di infrastrutture decisive.
Sostenitrice entusiasta della guerra fino alla “vittoria totale”, l’intellighenzia patriottica ucraina punta il dito contro lo statalismo sovietico del passato per spiegare tutta la corruzione e i crescenti fallimenti del governo: a suo dire la soluzione sarebbe semplicemente diminuire ancora il ruolo dello stato. Ma l’austerità oltre ad aver reso gli ucraini poco affezionati al governo, specialmente in tempo di guerra, ha anche fallito i suoi obiettivi.
L’unica emozione a unire davvero la nazione ucraina è la paura
La retorica contro la corruzione non vede le divisioni di classe che ha contribuito a radicalizzare. Gli ucraini spesso fanno battute sugli alti stipendi degli “osservatori contro la corruzione” e dei giovani consiglieri di amministrazione delle principali aziende pubbliche. La lotta alla corruzione serve il più delle volte a giustificare le politiche neoliberiste che favoriscono gli interessi commerciali dei grandi investitori internazionali. Ironia della sorte, lo smantellamento delle imprese statali dopo il 2014 ha gravemente indebolito il complesso militare-industriale ucraino dell’era sovietica, e questo ha influito sulle sue capacità belliche.
Ma invece di incolpare se stessi per lo stato delle cose, i nazionalisti tendono a dare la colpa al popolo ucraino. Dmytro Kucharčuk, un noto ufficiale nazionalista, ha rilasciato una lunga intervista in cui ha parlato delle scarse prospettive militari dell’Ucraina. Secondo Kucharčuk “oggi ci sono molti più chocholi (termine spregiativo per chiamare gli ucraini in russo)” che “veri” ucraini disposti a combattere per l’integrità territoriale del loro paese.
Kucharčuk è uno dei leader del partito di estrema destra Natsionalnyj korpus (Corpo nazionale) e comanda un battaglione di una brigata legata al movimento Azov.
I sentimenti che esprime potrebbero sembrare quelli di una frangia limitata, ma la sua retorica non è un’eccezione. Riprende una prospettiva che ha dominato la società civile e l’intellighenzia ucraina e, più in generale, post sovietica dagli anni novanta. In questa prospettiva, ripetuta all’infinito, la maggior parte della popolazione è etichettata come bydlo, cioè “bestiame”. È un insulto rivolto a chi, secondo queste élite, è attaccato alle abitudini “sovietiche”, dà la priorità al benessere personale e non vuole sacrificarsi per la costruzione della nazione. È un discorso non solo etnonazionalista ma profondamente classista, perché dipinge un ampio segmento della popolazione – principalmente operai, poveri e pensionati – come un ostacolo a quello che i reazionari considerano il progresso sociale.

Le continue battute d’arresto dell’Ucraina nella guerra non possono essere attribuite solo alla schiacciante potenza della Russia o all’insufficiente aiuto occidentale. La storia fornisce numerosi esempi di nazioni che hanno superato avversari molto più forti in conflitti prolungati, spesso con poco o nessun sostegno militare o finanziario di alleati potenti come la Nato. Consideriamo non solo il Vietnam negli anni sessanta e settanta e l’Afghanistan dal 1979 al 2021, ma anche la Francia dopo il 1789 e la Russia dopo il 1917. Questi movimenti rivoluzionari non solo sono sopravvissuti, ma hanno continuato a dominare gran parte dell’Europa. Di volta in volta le rivoluzioni sociali e le lotte di liberazione nazionale hanno dimostrato la capacità di forgiare stati più forti e di mobilitare la popolazione contro ogni previsione.
Secondo la narrazione dominante, l’Ucraina dovrebbe inserirsi in questo modello: una nazione che emerge dall’oppressione russa e sovietica, guidata dai successivi movimenti di liberazione nazionale, dall’intellighenzia dissidente, dalle rivolte europeiste di Maidan e dalla resistenza alla “guerra ibrida” della Russia nel Donbass. Il culmine di questa storia sono l’unità e la resilienza del popolo ucraino che respinge l’invasione del 2022. Ma questa narrazione è fondamentalmente sbagliata.
Forse perché l’Ucraina è solo una delle tante traiettorie postsovietiche modellate dalla modernizzazione e, in seguito, dal degrado della rivoluzione sovietica. Come in molti altri paesi della regione, dopo l’indipendenza il potere è stato conquistato da élite predatorie che hanno dato la priorità ai propri interessi invece che al bene pubblico. Non avendo saputo offrire significative opportunità e protezione alla maggior parte degli ucraini, oggi lo stato non può esigere molto da loro. Per questo non riesce a mobilitare del tutto la popolazione, segnata da profonde divergenze.
Contrariamente alla narrazione dilagante che esalta una presunta unità nazionale, non c’è stato nessun progetto condiviso di sviluppo per colmare il divario tra quelli che subiscono il peso della guerra e le élite politiche e intellettuali che affermano di rappresentarli sia in patria sia all’estero. Questa divergenza mina l’idea di uno scopo comune che guida la nazione in avanti.
Sembra che l’unica emozione a unire davvero la frammentata nazione ucraina sia la paura. Non gli alti ideali della costruzione della nazione, ma il terrore viscerale della devastazione personale e comune. Questa paura deriva dall’ansia di perdere la casa se la linea del fronte si avvicina, dall’angoscia di trovarsi nella situazione precaria dei rifugiati o dal terrore di dover vivere per mesi in una cantina per nascondersi da bombardamenti incessanti e dai combattimenti per strada. Perfino per chi ha una casa intatta persiste la paura: dell’illegalità, del saccheggio, dell’omicidio, della violenza sessuale, delle tristi realtà che spesso accompagnano un’occupazione militare.
Carne da cannone
Se gli ucraini sono uniti solo da un collante fondamentalmente negativo – da paure condivise piuttosto che da aspirazioni – cosa può succedere quando queste paure cominciano a cambiare e a farsi concorrenza tra loro?
Alcune persone cominciano a metterle a confronto: la paura di perdere la casa a causa dell’invasione si misura con la paura di affrontare la coscrizione forzata, di diventare carne da cannone in una guerra che sembra sempre più difficile da vincere; c’è la paura della repressione sotto l’occupazione, giustapposta alla paura di essere arrestati in uno stato in cui le proprie opinioni sulla libertà e sui diritti umani sono lontane da quelle dominanti nella società civile e nel governo; c’è la paura di sentirsi chiamare chochol dai russi o, semplicemente per il fatto di parlare russo, mankurt (un modo spregiativo per indicare chi ha perso il contatto con le sue radici) dai nazionalisti di casa propria. Queste paure guidano la popolazione ucraina, ma non la uniscono.
Abbiamo parlato con un uomo di cinquant’anni, che non ha lasciato la sua città nella regione di Charkiv neanche quando la linea del fronte si era pericolosamente avvicinata e i russi bombardavano regolarmente. Racconta che avrebbe potuto trasferirsi in una zona più sicura dell’Ucraina, ma non l’ha fatto ed è rimasto per aiutare, distribuendo aiuti umanitari ai vicini. Non è un vigliacco, è un patriota. Ma non è disposto “a morire per lo stato che c’è ora. Non per quell’Ucraina che ora ci viene imposta. Questo è il mio paese, ma non il mio stato”. ◆ ab
Peter Korotaev è un giornalista indipendente che si occupa di Ucraina.
Volodymyr Iščenko è un ricercatore ucraino presso l’istituto di studi sull’Europa orientale all’università di Berlino.
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Questo articolo è uscito sul numero 1607 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati